Mokhtar Yahyaoui nel 2001 si è schierato contro la dittatura di Ben Ali pubblicando una lettera in cui denunciava la mancanza di indipendenza del sistema giudiziario tunisino. Pochi mesi dopo è stato rimosso dal suo incarico di presidente della 10° camera civile del tribunale di prima istanza di Tunisi. Da allora è stato per anni vittima dei soprusi del regime: l’attività del padre è stata chiusa, sua figlia è stata aggredita e picchiata all’uscita da scuola e la famiglia ha vissuto sotto il controllo costante della polizia.
Dopo la caduta di Ben Ali denuncia che la Tunisia non è ancora libera.
Questa l’analisi della situazione attuale che ha pubblicato sul blog Tunisia Watch.
Legittimità e fatto compiuto
Abbiamo subito per oltre cinquant’anni il potere di un regime la cui unica legittimità era il fatto compiuto. Questo fatto compiuto, basato su manipolazione, complotti ed elezioni truccate, non ha mai cambiato la sua sostanza: “La tutela di una minoranza che ha confiscato il diritto del popolo tunisino di scegliere liberamente i suoi dirigenti.”
Il diritto alla sovranità nazionale e ad un regime repubblicano è stato sempre negato ai tunisini. Ancora oggi è vivido il ricordo del terrore, dell’ingiustizia e della disinformazione che hanno permesso l’instaurarsi della dittatura; dittatura di cui solo oggi vediamo l’inizio della fine.
Ma la Tunisia, che festeggia in questi giorni, seppur con il lutto dei suoi martiri, la caduta del dittatore e la riconquista della libertà, non è ancora stata davvero liberata dal potere del fatto compiuto. Il sistema non è cambiato, i simboli non sono spariti e, cosa più grave, la stessa strategia di “autismo politico” è elemento prevalente della legittimazione di chi detiene il potere.
Abbiamo come l’impressione che si sia passati dal “Governo io e voi tacete” di Ben Ali a un “Noi governiamo e voi gridate pure quanto vi pare” del nuovo governo; la loro logica è ancora più grottesca del loro comportamento. Intanto si ergono a difensori di questo nuovo stato di cose anche i membri del governo scelti tra i partiti di opposizione: “Sappiamo di non avere legittimità e se volete un governo legittimo dovete darci il tempo di preparare le elezioni.” Questa è la sostanza dei loro discorsi.
In questo modo si sta instaurando una logica di usurpazione. Il ragionamento di chi non vuole lasciare ad altri il potere vacante di cui si è prontamente appropriato è un ragionamento che mina da subito la fiducia che si potrebbe avere nelle loro intenzioni. Si sono impantanati e se il governo dovesse cadere, eventualità ormai quasi certa, farebbero la stessa fine dei loro colleghi del RCD e i loro partiti, il PDP e Ettajdid, sanno che il prezzo da pagare alle prossime elezioni sarebbe alto. Come Ben Ali hanno paura di lasciare il potere.
Ammetto di non essere insensibile agli argomenti di pragmatismo politico che hanno portato dirigenti esperti del PDP e di Ettajdid ad allearsi a simboli così contestati del vecchio regime, ma ho smesso di capirli quando hanno iniziato a difendere la loro onestà e la loro integrità. Non erano neppure stati avanzati dubbi su questo, il problema era un altro. Il problema è che l’RCD è stato distrutto, non vale neanche le cenere dei suoi resti, e nessuno ne vuole ancora. A loro dunque non resta che scegliere di lasciare questo governo o rischiare di essere spazzati via con tutti coloro che ne fanno parte.
Questo suicidio politico a cui stiamo assistendo ci farà dubitare, d’ora in avanti, di questi politici con troppa premura. Senza compromesso nazionale non si arriverà ad una soluzione: nessuno ha il diritto di imporsi né di credersi indispensabile sulla scacchiera. La Tunisia non manca certo di uomini e donne capaci di gestire questa transizione senza essere contestati. Se i nostri politici contano davvero di instaurare la democrazia che il popolo esige devono affrontarne il suffragio, unica misura del peso politico che dovranno avere.
Come dare fiducia a un governo di cui 5 ministri su 19 sono originari del governatorato di colui che era stato incaricato di formare il governo stesso? Come dare fiducia a un governo in cui tutti i ministeri principali sono rimasti nelle mani del RCD? Come accettare un governo nel quale le regioni interne sono state semplicemente ignorate e nel quale invece si trovano due ministri provenienti dallo stesso villaggio, dalla stessa famiglia? Si tratta di un governo in cui le nomine dipendono dalle amicizie in un modo così flagrante da far gridare allo scandalo e all’indecenza.
Se il paese non lo accetta significa che non è accettabile, non serve dire altro.
Eppure, nonostante tutto quello che è venuto dopo, quello che è successo è stato immenso e non perde il suo titolo di rivoluzione. Crediamo di aver già ottenuto risultati irreversibili come lo smantellamento della struttura dittatoriale e la riconquista delle nostre libertà. Alcuni di noi sono ancora storditi dal ritmo frenetico degli eventi e non realizzano pienamente il valore di ciò che sta accadendo.
Lo schema della situazione si sta disegnando attorno ad un unico confronto che oppone il potere della piazza al potere nel senso classico del termine e ci stiamo dirigendo verso l’anarchia. Un’evoluzione simile serve solo a chi detiene il potere perché dà loro la legittimità di alternativa al caos che terrorizza tutti coloro che hanno qualcosa da proteggere.
Così la rivoluzione si sta trasformando, nella sua struttura come nella sua finalità, e rischia di cambiare anche i suoi mezzi. Stiamo passando da una rivoluzione democratica ad una rivoluzione vera e propria; da una rivoluzione democratica ad una rivoluzione cui non manca nessun ingrediente.
Il mio scopo non è quello di seminare il panico né di inserirmi in uno dei campi che si stanno formando ma, in quanto dissidente e nemico della dittatura, voglio attirare l’attenzione sulla scelta che stiamo affrontando in questo momento e che sarà decisiva per il nostro futuro.
Tunisi, 23/01/2011
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