domenica 30 maggio 2010

Chiko è francese, però nero e musulmano.

E' a tutti gli effetti, legalmente, un cittadino francese, per la costituzione come per gli obblighi francesi, europei ed internazionali, tuttavia il problema del cittadino francese Chiko Baba Ndinag Diakaby è essere nero e musulmano. Invece di dedicarsi al traffico di bambini dal Darfour credeva che l'occupazione dell'Iraq fosse un attacco alla dignità di un popolo, ha deciso quindi di imparare l'arabo ed andare in Iraq. Ma il fatto è che non si era esercitato con le armi e non aveva alcuna informazione né sulla guerra né sulla rivolta armata, così è stato arrestato in seguito ad un'ordinaria perquisizione, come ci ha comunicato la Croce Rossa Internazionale, e sembra che sia stato il colore della sua pelle ad aver spinto una pattuglia alla sua ricerca nella città di Falluja il 25 novembre 2004. All'epoca la Francia credeva ancora che l'occupazione dell'Iraq fosse un'operazione estranea al diritto, inefficace, pericolosa e che avrebbe avuto conseguenze indesiderabili. Perciò l'inchiesta su Chiko venne svolta con rigore e lui fu destinato al carcere delle forze multinazionali di Boca. Gli venne assegnato il numero IQZ 0008123.



La Croce Rossa francese notificò alla famiglia del detenuto Chiko Baba a Parigi che le forze americane avevano arrestato loro figlio e sequestrato la corrispondenza intercorsa tra essi. Con l'arrivo del presidente Sarkozy e del suo ministro degli esteri, “l'umanissimo” Bernard Kouchner, Chiko divenne terrorista e origine di ogni male, per finire poi nel dimenticatoio del governo francese. Le forze americane affidarono il prigioniero Chiko alle forze irachene il 28/5/2006, le quali lo trasferirono nel carcere di Fort Suse (che è la caserma militare costruita dai russi vicino alla città di Sulaymaniya, nel Kurdistan iracheno), quindi lo affidarono al tribunale penale il 10/9/2006. La corte era formata da Saeb Khurshid Ahmed in qualità di presidente e dai giudici Adnan Muhammad Hadi e Bligh Hamdi Hikmet. Il tribunale lo ha condannato a cinque anni ed un mese di carcere con decorrenza a partire dal 28/5/2006, per il reato di ingresso illegale nel territorio iracheno.


Il tribunale si è rifiutato di mettere agli atti le informazioni reali sull'ingresso del detenuto nel territorio iracheno e la data del suo arresto da parte delle forze americane, nonché tutte le prove e le corrispondenze dell'accusato con la sua famiglia, in evidente violazione delle più semplici regole di un processo giusto. Considerata la data in cui le forze di sicurezza irachene lo hanno ricevuto, allora la data del suo ingresso rappresenta una falsificazione dei fatti. Il 5/2/2009 il sostituto procuratore capo emette una sentenza che ribalta la precedente decisione del tribunale e chiede un nuovo processo. Il 18/6/2009 la corte penale di secondo grado di Kirkuk emette una sentenza provvisoria a sette anni di reclusione, contando quelli già trascorsi in carcere a partire dal 28/5/2006, e la sua espulsione al termine della pena. Una decisione discriminatoria.

In questo periodo il padre di Chiko è morto, sua madre si è ammalata e le sue sorelle non sono riuscite a portare “il caso umano” al ministero degli esteri, troppo occupato con il dossier Shalit: non è di grande importanza il caso di un francese musulmano di origine senegalese andato in Iraq. Il detenuto continua a subire il caos del sistema giudiziario iracheno e la sua confusione nel registrare i dati, e poiché non è stato incarcerato in una prigione delle forze americane le Nazioni Unite hanno considerato il giorno d'ingresso del signor Chiko Baba Ndinag quello dell'occupazione irachena.
Le forze di sicurezza francesi hanno arrestato numerosi rimpatriati dall'Iraq ed i tribunali sono arrivati a condannare alcuni di essi a sette anni di carcere. La politica del signor Sarkozy, fin da quando era agli interni, ha dovuto far capire ai giovani musulmani di Francia che il prezzo per andare nelle regioni in conflitto come Afghanistan o Iraq sarebbe stato elevato. Tuttavia ci troviamo di fronte ad un caso particolare, si tratta di numerosi torti fatti ai danni di un cittadino francese: la tortura, i trattamenti disumani, l'umiliazione, la soppressione intenzionale del computo dei periodi di detenzione; più di un processo richiama l'attenzione sui particolari ridicoli piuttosto che invitare alla serietà. Dimenticato in carcere Chiko ha deciso di farsi sentire con uno sciopero della fame di 29 giorni che lo ha condotto alla morte nella sua prigione, nel Kurdistan Iracheno. Ma nonostante ciò la stampa francese non è riuscita ad interessarsi a questo cittadino!!!

Come può un cittadino francese di pelle nera e religione musulmana convincersi di essere un cittadino come gli altri? Come può dimenticarsi che Sarkozy si è mosso per liberare il personale dell'associazione “L'Arche de Zoé” da Njamena, capitale del Chad, i quali erano stati condannati per il reato di furto di bambini, mentre non si interessa nemmeno a che Chiko possa avere una normale corrispondenza con la sua famiglia, o a che venga inviato il console francese ad Erbil?

Qualunque sia stato il suo crimine Chiko ne ha pagato il prezzo, resta il prezzo morale che paga la Francia per il silenzio delle sue organizzazioni per i diritti umani, per il silenzio del suo ministero degli esteri, per la discriminazione dei vertici del potere tra bianco e nero, tra musulmano e non musulmano, tra chi decide di servire come volontario nell'esercito israeliano e chi pensa che sia necessaria la resistenza all'occupazione americana.


Articolo di Haythem Manna, la versione originale è visionabile sul suo sito.

Nessun commento: