giovedì 20 maggio 2010

Fabbriche di catastrofi e campi profughi

di Ghassan Charbel

I piccoli giocano all'incrocio dei vicoli. Corrono e litigano. Inviano le loro risate senza esitare. Non si lamentano della durezza del luogo. Né dell'acqua stagnante o dei fossi. Ridono come chi si burla del proprio destino. Più in là con gli anni boicotteranno le risate.

Il campo profughi non è cambiato molto. Il numero degli abitanti si è moltiplicato più volte. Si sono moltiplicati i piccoli nidi attaccati l'un l'altro e sovraffollati. E il numero degli abitanti delle tombe. Caos di fili elettrici. Gli sguardi di rimprovero affacciati alle piccole finestre. I vestiti appesi a fili corti. Le auto che dissipano il tempo. Dentro le stanze la ruggine aggredisce le vecchie chiavi. E l'età aggredisce le immagini dei martiri.



Il campo profughi non è cambiato molto. L'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) è la massima compassione dei responsabili internazionali. Solo le parabole satellitari prosperano. Le antenne sono un conforto nel campo. Gli abitanti si sono stancati di ripetere il loro attaccamento al diritto di ritorno. Il ritorno è disponibile solo via satellite. Distinguono tra il loro Paese e quello che era il loro Paese. Tra il mostro degli insediamenti che preda terra e cielo e i documenti di proprietà. Tra le case intessute nelle loro carni e l'accrescersi dei loro sogni impossibili. Questo è il tempo palestinese-arabo contemporaneo: canali satellitari e campi profughi.

Sulla piccola terrazza siede un uomo sessantenne, fuma. Vicino a lui un paio di piantine di basilico e d'altre erbe. Come se cercasse di ricordare che era lui il padrone di quella terra, per quanto piccola fosse. Padrone di una terra adatta alla semina e alla sepoltura. Come se cercasse nel verde delle piante assediate una risposta al nero degli anni che  passano. Le rughe del suo viso sembrano fogli di quaderno. Il quaderno della vita nel campo. Non lontano dalla patria aumenta la separazione. Il quaderno racconta la difficoltà del pane. La difficoltà del lavoro. La difficoltà di essere un rifugiato. Di nascere ed essere sepolto in un campo.

Il campo sembra tranquillo e sicuro. Tuttavia il visitatore deve essere più vigile. Sorge un problema e compaiono persone armate. Cominciano a volare le pallottole, poi tuonano le bombe. Anche il campo è soggetto a divisione, tra i radicali. Di quartieri, moschee e fucili. Divergono sul modo più efficace per raggiungere la Palestina. Sul modo più efficace per controllare l'incrocio più vicino o il quartiere adiacente.

Non hanno rinunciato al loro diritto e al loro sogno, Ma dentro al campo hanno visto le stagioni andare e venire. Il campo resta e loro in esso. Hanno visto il processo di pace andare e venire. Gli aerei andare e venire. Hanno visto i nomi dei generali del campo andare e venire, ma il campo restare, e loro in esso.

A volte gli altoparlanti risuonano e li adunano. Mostrano rabbia e protesta. Poi tornano alla vita. Giovani senza lavoro o con un lavoro che non garantisce una vita pressoché dignitosa. Il sogno di emigrare si scontra con la mancanza di documenti o di soldi. La durezza ha allungato il tempo. Il palestinese nasce nel campo. Baratta i vestiti macchiati. E il kalashnikov. E la kefia.  Si sposa, ha dei  figli e moltiplica il numero dei rifugiati. Sogna di tornare alla terra che ama, poi si stende sulla terra del campo.

Nel campo di Ain al-Hilweh, vicino Sidone, le immagini scorrono nella tua testa. La kefia di Yasser Arafat. Il simbolo della vittoria. L'aviazione che non dorme. Oslo. La regione crolla sul leader simbolo. Ricorda Mahmud Darwish e il filo delle grida di gioia (1) in un discorso passeggero. Ricorda anche le ferite della separazione palestinese (2). I termini della riconciliazione nazionale. La tentazione di non firmare. Il lusso di non firmare.

L'anniversario della Nakba. L'anniversario della grande Nakba. L'estrema povertà. La memoria del mondo che dimentica. Un mondo deserto e selvaggio. E una regione soffocata da fabbriche di catastrofi e campi profughi.


(1)-  Si fa riferimento alla poesia “Nozze”
(2)- Si fa riferimento alla poesia “Diario di un palestinese ferito”





Articolo originale apparso sul quotidiano Al-Hayat

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