domenica 9 gennaio 2011

Da Sidi Bouzid a Tunis, resoconto confuso di una rivolta azzoppata

Nella sua celebre muqaddima lo storico tunisino Ibn Khaldun mette in luce quella che sembra essere stata una dinamica costante dei Paesi mediterranei, in particolar modo di quelli arabi: l'avvicendarsi al potere di popolazioni nomadi le quali una volta sedentarizzatesi ed assaporati i piaceri e le comodità della città finiscono per infiacchirsi e per essere rapidamente sostituite da altre popolazioni nomadi. Per quanto riguarda l'Africa mediterranea queste ondate di rinnovamento sono sempre provenute dalle montagne e dalle steppe dell'interno.
Oggi le fiamme che stanno scuotendo la Tunisia si sono dipartite proprio da quelle zone dell'interno: Sidi Bouzid, Gafsa, El Kef. E' ovvio che non si tratta di nomadi lanciati alla conquista del Palazzo eppure forse per la prima volta dalla rivolta del pane dei primi anni ottanta la Tunisia sta vivendo una serie di manifestazioni che interessano un numero sempre maggiore di città.



Tutto nasce a Sidi Bouzid, capoluogo dell'interno lontano dagli alberghi della costa, lontano dall'Europa, dagli investimenti, dall'autostrada. Un giovane, disperato, si da fuoco per protesta. Protesta perché nonostante abbia un titolo di studio rispettabile non riesce a trovare un lavoro decente. Un giovane si da fuoco, è bene ripeterlo per rendere chiaro quello che è successo. Un ragazzo si da alle fiamme. E muore.
Le manifestazioni nascono spontanee anche in altre città, Gafsa, Qassrin, El Kef, raggiungono la costa a Gabes, Sfax, Soussa. Si teme possano arrivare a Tunisi, il che vorrebbe dire che i nomadi avrebbero raggiunto il Palazzo, che il reggente dovrebbe prepararsi a cedere il potere.
Ma il caso, sotto forma di calendario, ci mette lo zampino: è l'ultimo dell'anno e gli studenti della capitale fanno ritorno ai loro paesi per le vacanze. Mancando loro la grande manifestazione della capitale è necessariamente rimandata. Poco male, tornando a casa a Sidi Bouzid, a Qassrin, al Kef ascolteranno i racconti di chi ha manifestato in prima persona, ascolteranno dalla bocca dei protagonisti quello che nessuna radio o televisione tunisina direbbe mai: l'informazione, il resoconto dei fatti. Quindi lunedì 3, il giorno del rientro scolastico, siamo pronti per andare a filmare e fotografare quella che potrebbe essere la più grande manifestazione dell'epoca Ben Ali. Il problema principale è che non c'è coordinamento né organizzazione tra i comitati studenteschi per cui ogni facoltà dovrebbe organizzare la propria manifestazione. Saliamo in macchina e cominciamo a fare il giro delle università. Prima meta del tour è l'Accademia di belle arti di Bab el Assel. Tutto pare calmo, tanta polizia in borghese all'ingresso, accesso alla struttura consentito solo a chi mostra il libretto universitario. Come non detto, proseguiamo. Attraversiamo tutta Tunisi alla volta del campus della Mannouba, il nuovo polo universitario appositamente costruito in quella che sembra aperta campagna proprio per tenere gli studenti fuori dalla vita reale della capitale, il capolinea della metro che taglia i contatti tra studenti e società.
A Mannouba la situazione è la stessa: tanta polizia, accessi controllati e nessun indizio di manifestazione, nessun assembramento, pochi studenti.
Non ci resta che andare alla 9 Avril, la storica facoltà di scienze umane che è rimasta in centro, giusto alle spalle della casba. Inutile dire che lo scenario è lo stesso. Ma come è possibile? Ci aspettavamo che gli studenti di ritorno dai luoghi delle manifestazioni eclatanti fossero carichi di energia e decisi a far sentir la loro voce ed invece non c'è nessuno per le strade. Ancora una volta il caso, sotto forma di calendario, ci ha messo lo zampino: questi sono i giorni degli esami ed i ragazzi hanno altre priorità, tutto è rimandato al fine settimana.
Intanto fuori dalla capitale la situazione non migliora, la tensione è viva, El Kef continua a manifestare, non si è fermata nemmeno per Capodanno. Il governo appronta le sue misure: Sidi Bouzid ed El Kef vengono private dell'accesso ad internet, il regime non ha gradito l'attenzione che i media internazionali hanno dedicato ai fatti degli ultimi giorni e non vuole che qualche sconsiderato pubblichi in rete video e foto di quanto accade. La polizia abbandona El Kef per lasciare spazio all'esercito, i primi saranno più utili a Tunisi dove sembra che gli sbirri e i confidenti non siano mai abbastanza, il giorno in cui il ragazzo disperato si diede fuoco e venne ricoverato nel reparto grandi ustioni dell'ospedale di Ben Arous, sobborgo ad ovest della capitale, intorno al nosocomio c'era una tale quantità di polizia, in uniforme e non, da bloccare il traffico per ore.

Venerdì 7 si comincia ad avvertire una presenza più numerosa di polizia in borghese, alcuni amici riconoscono degli agenti infiltrati provenienti dal Kef, ci si sta preparando alla grande manifestazione anche se nessuno sembra sapere nulla. Non esiste un movimento organizzato, non ci sono dei leader, tutto avviene tramite Facebook ed il passaparola, forse ci sarà di mezzo l'UGTT, lo storico sindacato dei lavoratori tunisini che fu parte attiva nel processo di costruzione della nazione indipendente.
Sabato mattina Tunisi è una città diversa, la giornata è meravigliosa ma c'è un'atmosfera frizzante e leggermente inquietante. Al caffè gli amici hanno volti tesi, è un continuo via vai, la gente si alza, si allontana e torna dopo un quarto d'ora, il tempo di andare ad ispezionare i dintorni del luogo dove si terrà la manifestazione. Come scenario è stata scelta la piazzetta dell'UGTT, un piccolo quadrato di asfalto delimitato da palazzi con due unici accessi che si fronteggiano. Strategicamente è il luogo peggiore dove fare una manifestazione, potenzialmente può essere il perfetto teatro di una mattanza con gli studenti nel ruolo dei tonni senza vie di fuga. Ma apparentemente è l'unico luogo dove si ha il “diritto di manifestare”, e poi è la sede del sindacato, ha un valore simbolico, anche se qualcuno fa notare che da un po' di anni membri del partito si sono infiltrati nel sindacato.
Verso mezzogiorno e mezzo circa trecento ragazzi si sono radunati nella piazzetta, immediatamente la polizia decide che nessuno può entrare ma chiunque vorrà uscire potrà farlo. Vengono scanditi alcuni slogan ma improvvisamente degli altoparlanti collegati alla sede dell'UGTT cominciano a trasmettere l'inno nazionale ad un volume altissimo, sovrastando ogni voce ed impedendo qualsiasi comunicazione. Questo è il risultato delle infiltrazioni del partito nel sindacato.
Un ragazzo, protetto da un cordone di studenti, cerca di arrampicarsi per staccare i cavi degli altoparlanti ma non vi riesce e cade. Ai manifestanti non resta che protestare portandosi la mano alla bocca, quasi a voler dire siamo noi gli attori della nostra stessa censura, chi dovrebbe tutelarci (il sindacato) fa il gioco del potere e ci tappa la bocca.
Nel giro di due ore tutto è finito, ci si ritrova nei caffè di Avenue Bourguiba. L'aria è strana, un misto di soddisfazione e delusione, soddisfazione per essere riusciti a manifestare, cosa che in Tunisia non è affatto scontata; delusione per essere stati in pochi a partecipare e per aver dovuto assistere ad un comportamento scorretto da parte del sindacato, nuovo censore inaspettato.

Resto tutto il pomeriggio e la serata a chiacchierare con diversi amici, attivisti e cani sciolti, e sembra veramente difficile trarre un bilancio netto della giornata. Probabilmente saranno necessarie altre giornate come questa per riuscire a leggere in maniera più chiara il futuro che si prospetta per questo Paese, un futuro che apparentemente sta a cuore anche agli Stati Uniti se è vero che il dipartimento di Stato americano ha convocato l'ambasciatore tunisino per avere chiarimenti.

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