sabato 29 gennaio 2011

Egitto e Tunisia: quando il baluardo dell'occidente è la tortura

“Se salta Mubarak è il caos: 80 milioni di egiziani fuori controllo al confine di Israele e al confine marittimo dell'Europa sono una seria incognita.”
E’ l’analisi dell’esperto apparsa ieri su La Repubblica. Il crollo del regime si dice, e non si fatica a crederci, è fonte di preoccupazione per i “tradizionali sostenitori del governo egiziano: Stati Uniti, Francia, Italia, Germania”. A questa stessa preoccupazione danno voce diversi giornalisti nel presentare le notizie di queste ultime ore. Ed è più o meno la stessa preoccupazione che molti esprimevano nei giorni della rivoluzione tunisina, garantendo sostegno al governo Ben Ali.
Così, ottanta milioni di egiziani dovrebbero sottostare al controllo di un dittatore, un dittatore che da trent’anni governa un paese sotto legge marziale, perché qualcuno dorma sonni tranquilli. Sono le misteriose ragioni della politica, comprensibili solo a chi, guardando il mondo, vede una scacchiera: in termini di caselle e di confini da difendere e di popoli che devono vivere in funzione di un ordine politico economico non meglio identificato.

giovedì 27 gennaio 2011

Modalità Dégage: ON

“RCD dégage”. Il governo di coalizione che, neanche due settimane fa, ha lasciato la maggior parte dei ministeri in mano al partito del presidente deposto non ha accontentato la piazza. La Tunisia non ha cessato le proteste. Questa volta lo scenario delle manifestazioni è stata la qasbah dove centinaia di persone arrivate dalle zone più disagiate del paese con la “carovana della libertà” si sono accampate per chiedere le dimissioni del governo e aiuti economici adeguati.
La convivenza della carovana con gli abitanti della capitale ha rischiato, solo per un giorno, di dividere il paese: regionalismi radicati e rivendicazioni che volevano la rivoluzione solo di una parte del popolo non sono però riusciti a distruggere il sentimento di unione e solidarietà che, a detta di molti, si è creato all’indomani della caduta del regime. Sono sempre presenti elementi disturbatori che tentano di provocare la folla, di seminare il panico e di dividere la popolazione ma fino ad ora le diffidenze e le paure vengono superate. E’ la Tunisia nuova, unita dalla lotta. Proprio oggi pomeriggio un’iniziativa invitava chi abita in capitale a portare cibo e coperte per passare la notte a fianco dei “fratelli” che, da giorni, dormono all’aperto. Per portare a termine la rivoluzione, insieme.
E, insieme, hanno vinto ancora. E’ di pochi minuti fa l’annuncio ufficiale del rimpasto ministeriale promesso da giorni. Il primo a presentare le dimissioni, nel tardo pomeriggio, è stato il Ministro degli Affari Esteri, Kamel Morjane.
Poi, per tutta la serata, si sono rincorse voci secondo cui, con il benestare dell’UGTT, Ghannouchi dovrebbe mantenere la carica di Primo Ministro. Ma è l’unico. Alle 20:50 l’annuncio che tutti gli altri dodici ministri appartenenti al RCD lasceranno il governo.
RCD dégagé.

martedì 25 gennaio 2011

Legittimità e fatto compiuto

Mokhtar Yahyaoui nel 2001 si è schierato contro la dittatura di Ben Ali pubblicando una lettera in cui denunciava la mancanza di indipendenza del sistema giudiziario tunisino. Pochi mesi dopo è stato rimosso dal suo incarico di presidente della 10° camera civile del tribunale di prima istanza di Tunisi. Da allora è stato per anni vittima dei soprusi del regime: l’attività del padre è stata chiusa, sua figlia è stata aggredita e picchiata all’uscita da scuola e la famiglia ha vissuto sotto il controllo costante della polizia.
Dopo la caduta di Ben Ali denuncia che la Tunisia non è ancora libera.
Questa l’analisi della situazione attuale che ha pubblicato sul blog Tunisia Watch.

Legittimità e fatto compiuto

Abbiamo subito per oltre cinquant’anni il potere di un regime la cui unica legittimità era il fatto compiuto. Questo fatto compiuto, basato su manipolazione, complotti ed elezioni truccate, non ha mai cambiato la sua sostanza: “La tutela di una minoranza che ha confiscato il diritto del popolo tunisino di scegliere liberamente i suoi dirigenti.”

Il diritto alla sovranità nazionale e ad un regime repubblicano è stato sempre negato ai tunisini. Ancora oggi è vivido il ricordo del terrore, dell’ingiustizia e della disinformazione che hanno permesso l’instaurarsi della dittatura; dittatura di cui solo oggi vediamo l’inizio della fine.

Ma la Tunisia, che festeggia in questi giorni, seppur con il lutto dei suoi martiri, la caduta del dittatore e la riconquista della libertà, non è ancora stata davvero liberata dal potere del fatto compiuto. Il sistema non è cambiato, i simboli non sono spariti e, cosa più grave, la stessa strategia di “autismo politico” è elemento prevalente della legittimazione di chi detiene il potere.

domenica 16 gennaio 2011

Chi si nasconde dietro le milizie?

Di fronte al caos mediatico che regna attualmente ed al numero di informazioni contraddittorie che riceviamo a destra e a manca ho sentito il bisogno di mettere nero su bianco quanto ho compreso e le mie constatazioni. E se di ciò vi rendo partecipi è per meglio mettere insieme le informazioni. Vi chiedo dunque di prendere parte a questa analisi commentando sulla mia pagina Facebook.
Ad oggi quello che è certo è che Ben Ali non è più al suo posto, sarebbe invece in Arabia Saudita [anche se ancora non abbiamo prove ufficiali, ndr.]. Sappiamo anche che la polizia non esiste più e che sono i comitati popolari di quartiere (CPQ) ad assicurare la sicurezza insieme all'esercito.


Tunis, from dusk till dawn

Faccio una premessa forse scontata ma fondamentale: non sono un giornalista, né pretendo minimamente di esserlo e questo mi da la possibilità di poter scrivere su queste pagine virtuali anche degli sfoghi assolutamente personali.
Questa settimana l'ho vissuta travolto da emozioni contrastanti (nonché da una febbre niente male) che hanno spaziato dalla amara soddisfazione per la prima manifestazione dell'8 alla tristezza causata dall'aver dovuto lasciare Tunisi proprio quella notte stessa, alla vigilia delle grandi manifestazioni di massa; dall'apprensione nel seguire gli avvenimenti in contatto costante con gli amici al timore che Ben Ali riprendesse in mano la situazione e facesse piazza pulita degli oppositori (e quindi anche di diversi miei affetti); dalla trepidante speranza in un rovesciamento del regime alla commovente e piena gioia quando abbiamo visto concretizzarsi questo sogno.

sabato 15 gennaio 2011

Faites attention! Ben Ali part et ses chiens veulent reprendre le pouvoir par la force!


فما لعبه كبيره يحبو يلعبوها جماعة التجمع والضباط الكبار في الداخليه وصلت تعليمات بش برشة أعوان وبرشه فرق خاصه يلبسوا مدني ويخرجوا يخربوا ويسرقوا عطوهم كراهب وحتى سلاح يخوفو فيهم يقوللهم كان ما نرجعوش احنا الشعب بش يصفيكم واحد واحد وبش تخسرو خدمكم وتشدو الحبس ويعطيو فيهم في مبالغ كبيره و المطلوب من الجيش او الشعب القبض على المتورطين في اللعبة وهو نسميهملك 

Tounes 7orra!

Poche righe per l’aggiornamento che conferma la vittoria definitiva del popolo tunisino. Poche righe bellissime da scrivere perché questa volta non ci saranno parole rabbiose né espressioni di dubbio o incertezza.
Mohamed Ghannouchi ha appena parlato al paese e ha annunciato l’applicazione dell’articolo 57: è la fine della dittatura. Assume le funzioni di Presidente della Repubblica Fouad Mebazaâ, Presidente della Camera dei Deputati. Sono annunciate nuove elezioni.
In ventotto giorni i tunisini hanno cambiato il loro paese: hanno dato a tutti una lezione di coraggio e per tutti sono ora esempio di una dignità che non si piega a compromessi.
Hanno combattuto e, consci del valore della loro lotta, non si sono piegati né alla repressione né alle concessioni di un dittatore che sembrava non voler mai cedere.
Volevano la libertà e la libertà è quello che hanno conquistato.
Mohamed Bouazizi con il suo sacrificio ha dato inizio alla rivolta e il paese l’ha seguito perché ha riconosciuto nel suo gesto la prova più tremenda di un regime che uccide anche la speranza. Nessuno ha voluto lasciare che Bouazizi fosse morto invano; nessuno ha pensato che il sacrificio di oltre settanta caduti sotto i colpi della feroce repressione scatenata da Ben Ali potesse valere qualcosa di meno della libertà.
I tunisini hanno abbattuto un regime oppressivo e corrotto e hanno costruito un paese nuovo.
Questa è stata la lotta del popolo. Non c’è, come dopo la liberazione dai francesi, uno za’im o una guida.
Il popolo è stato la guida di se stesso. Il popolo è stato il leader della rivoluzione.
I tunisini in questi giorni ci hanno regalato una delle pagine più belle della storia e un esempio straordinario. Un esempio…

Il comandante fugge ma i topi non vogliono abbandonare la nave

Ben Ali barra, wa tawwa?


Ieri è stato il grande giorno ma c'è ancora molto da fare.
Il presidente Ben Ali ha lasciato il Paese a bordo dell'aereo presidenziale (che i tunisini vorrebbero veder restituito, in quanto proprietà pubblica) ed in un primo momento è volato in direzione nord verso Malta, da li ha proseguito verso Parigi dove è rimasto parecchio tempo sospeso. Non avendo ricevuto il permesso di atterrare si è diretto allora verso Jedda, Arabia Saudita. 
E' importante rimarcare il fatto che Ben Ali pur avendo abbandonato il Paese non ha lasciato la sua carica ma ha delegato il Primo ministro Mohammed Ghannuchi al ruolo di presidente ad interim.
Il problema è che questa carica speciale, come definito dall'articolo 56 della costituzione tunisina, non ha il potere di indire nuove elezioni quindi la situazione è abbastanza confusa, i tunisini hanno l'impressione di essere stati presi in giro...
Nella foto Benny d'Arabia


Il giorno della liberazione

C’è stato un momento, oggi pomeriggio, un momento di confusione. Dopo una repressione che si è scatenata con una violenza inaudita per la capitale, dopo momenti di guerriglia proprio nel centro di Tunisi, dopo i gas lacrimogeni, dopo i pestaggi e dopo gli spari si sono sentite delle voci, sempre più numerose con il passare dei minuti, secondo cui il presidente Zine El Abidine Ben Ali aveva lasciato il paese. Sembrava talmente incredibile e straordinario che tutti cercavano conferme, non osando gridare vittoria. E poi la conferma è arrivata.

Ventotto giorni di proteste ininterrotte in tutto il paese e oltre settanta morti ma, alla fine, la vittoria. E il dittatore che fugge.

Può un motto diventare realtà? Oggi in Tunisia è successo esattamente questo. Le parole “Ben Ali ala barra” scandite e fatte risuonare per tutto il paese erano diventate qualcosa di concreto alla fine del pomeriggio.

Così il popolo tunisino ha dato una lezione al mondo.

Ma è bastato poco perché già iniziasse a guastarsi questo successo. Dopo tutto il sangue che hanno visto scorrere, i tunisini non hanno neanche potuto godere appieno del risultato raggiunto. Giusto il tempo di esprimere qualche parola di gioia e subito i primi dubbi. Iniziano con il discorso del Primo Ministro Mohamed Ghannouchi che cita l’articolo 56 della Costituzione in cui si fa riferimento a un “caso di impedimento provvisorio” e a una “delega” delle funzioni del Presidente della Repubblica al Primo Ministro. Non cita, come molti avrebbero voluto e come giustamente si aspettavano, l’articolo 57 che cita invece il “caso di impedimento assoluto” per il quale “il Presidente della Camera dei Deputati assume immediatamente le funzioni del Presidente della Repubblica ad interim per un periodo che varia dai 45 ai 60 giorni.” E’ solo il Presidente della Camera dei Deputati, nello specifico Fouad Mebazaâ, ad avere il potere di indire nuove elezioni. Infatti Ghannouchi non parla di elezioni. Come il discorso di Ben Ali di ieri, anche questo non sembra avere il potere di placare gli animi. Sono in tanti ad esprimere perplessità; l’élite al potere è sempre la stessa ma la gente ha lottato per un cambiamento vero. Si organizzano dunque nuove manifestazioni: una per domani in cui chiedere una “Tunisia libera e veramente democratica”. Le adesioni non sono comunque paragonabili a quelle dei giorni scorsi. La gente ha dato molto alla lotta ed è stanca dei massacri. E poi potrebbe essere solo una giusta diffidenza dopo anni di dittatura e di inganni. La possibilità di elezioni anticipate non è da escludere dopo un unico discorso.

Ma ormai non sono più solo i dubbi a sciupare la vittoria…

Poco dopo il coprifuoco iniziano a girare per la città bande armate su camionette e macchine senza targa. Saccheggiano negozi e centri commerciali, irrompono nelle case , rubano, terrorizzano e aggrediscono i cittadini. Da Ben Arous a Salambo, dal Menzah al Mouroj, si rincorrono le testimonianze di chi vede queste milizie in azione. Vengono fatti circolare numeri di emergenza da chiamare in caso di aggressione. Le informazioni arrivano come sono sempre arrivate in questi giorni: voci, testimonianze pubblicate in rete. Più sono queste voci più un fatto è probabile. Sembra un metodo poco affidabile ma è così che si è saputo cosa stava realmente accadendo a Tunisi. D’altronde spesso queste voci sono state confermate dagli organi di stampa ufficiali dopo che già si erano diffuse su internet. Riporto quindi come una voce l’ipotesi che queste bande siano costituite da poliziotti e da ex prigionieri specialisti ingaggiati con lo scopo preciso di seminare il panico nella popolazione affinché si rimpiangano i tempi dell’ ”ordine”, i tempi di Ben Ali.

La situazione si fa grave al tal punto da spingere Ghannouchi a fare un altro discorso. Afferma che l'esercito ha avuto il compito di difendere la popolazione ma che le forze dispiegate nella capitale non sono abbastanza e che in tutti i quartieri gli uomini devono organizzarsi in maniera spontanea per difendere le loro famiglie e i propri beni. Afferma anche che si tratta di vandali, sempre presenti nei paesi che attraversano momenti simili; dice che vogliono rubare, approfittare della situazione e poi ipotizza che abbiano anche altri obiettivi. Non specifica quali ma si gioca il jolly pronunciando più volte la parola “terrorismo”.

La sera della liberazione è segnata dalla paura; sempre la stessa paura, marchio di fabbrica del regime.

Dopo giorni durissimi qualcuno ha rubato ai tunisini la gioia che meritavano di godere in questo momento.

Il resoconto di questo 14 dicembre avrebbe dovuto essere fatto di parole e toni diversi, più ottimisti e più incoraggianti. Ma questo è quello che è successo.

venerdì 14 gennaio 2011

Tounes 7orra! Ben Ali ala barra!

“C’est pas fini”, non è finita: questo il messaggio che si è diffuso a macchia d’olio in rete dopo il discorso di Ben Ali. Così hanno risposto i tunisini praticamente all’unanimità escludendo ovviamente i prezzolati RCD. Già ai blocchi di partenza prima dell’inizio del discorso, testimoni affermano che le auto che si sono viste sfilare erano già pronte prima che il presidente aprisse anche solo la bocca, i fedelissimi del presidente hanno infatti montato una pantomima da vittoria calcistica: clacson e sventolio di bandiere per plaudere alle concessioni della loro magnanima guida.
Secondo alcuni quotidiani la gente ha sfidato il coprifuoco per festeggiare la vittoria. Un’allegra banda di coraggiosi che, sapendo perfettamente di non rischiare nulla abbaiando un sostegno incondizionato al governo, cerca di gettare fumo negli occhi. E, a quanto pare, colpisce in pieno alcuni giornalisti. Perché solo con gli occhi annebbiati dal fumo si poteva pensare che tutto fosse finito con il festeggiamento di una sparuta combriccola. Erano in pochi rispetto ai manifestanti dei giorni scorsi; erano pochi agli occhi di chiunque sia sceso per strada ieri sera per seguire gli avvenimenti. Erano pochi e prezzolati: se la notizia è arrivata a me alle dieci di sera com’è che stamattina, comprando il giornale, leggo che “la piazza esulta: vittoria”?
La piazza, quella vera, non ha esultato. Parte della piazza, per pochi attimi, ha anche temuto che fosse davvero finita sentendo i cori da stadio urlare “viva ben ali” . Hanno temuto che qualcuno volesse davvero svendere 70 vite per youtube.
Ma non è finita. Non è finita perché nessuno ha creduto in un presidente che si è voluto far passare da ignaro, da ingannato, da innocente. Un presidente che dopo aver chiamato i manifestanti terroristi dopo due giorni vira decisamente rotta affermando di averli capiti e di aver intenzione di punire i responsabili. Il problema per Ben Ali è che i tunisini sanno di chi è la responsabilità; lui è il responsabile. Per questo gli chiedono di andarsene.
Glielo stanno chiedendo in tanti, in tante città, in tutto il paese. Da stamattina glielo sta chiedendo un' Av.Bourguiba gremita di cittadini che hanno rispetto per chi si è sacrificato per un paese diverso e per chi è morto sotto i colpi della repressione; cittadini che non le daranno altri tre anni per finire il suo mandato dopo tutto il sangue che hanno visto versare in questi giorni. Neanche dopo le false promesse. Perché di false promesse si tratta, proprio mentre scrivo me ne arriva la conferma.
In questo momento mi scrivono di spari nel quartiere Cité Olympique, al Kram e a Salambo, di guerriglia al Menzah 6, di spari davanti al Ministero dell’Interno, di spari, spari, spari…
Di un numero di vittime che continua a salire.
Ancora mentre scrivo: Ben Ali ha destituito i membri del governo e proclamato elezioni legislativa anticipate fra sei mesi. Ma il massacro continua. Perché le uniche dimissioni che chiedono sono quelle del presidente.
“Ils sont en train de nous massacrer”, ci stanno massacrando, ha scritto qualcuno pochi minuti fa.
Fino a quando?
“Ben Ali dégage”, fino ad allora non smetteranno di lottare e fino ad allora dall’altra parte continueranno a sparare.

Non posso neanche più scrivere, succedono troppe cose, troppo velocemente.
Seguiranno aggiornamenti…

Tunis, tenete duro, tkammelu le combat

Ieri sera il presidente Ben Ali ha tenuto un discorso nel quale ha affermato di aver compreso i tunisini e le cause delle manifestazioni. Per questo ordinerà il cessate il fuoco, la riduzione dei prezzi dei generi di prima necessità, un alleggerimento della censura internet e il rilascio dei manifestanti arrestati. E' evidente che si tratta di un patetico ed ingannevole tentativo di mantenere il potere, segno che Rais l Bled non ha minimamente compreso le istanze del suo popolo. I tunisini non si sono bevuti questo messaggio di propaganda ed il regime ha fatto molto per palesare la natura falsa delle sue promesse. A pochi secondi dalla fine del comunicato decine e decine di auto (tutte rigorosamente a noleggio) sfilavano per Tunisi e le altre città del Paese suonando i clacson ed inneggiando al presidente, nonostante il coprifuoco e la presenza della polizia per le strade questi prezzolati del partito sono riusciti ad inscenare ridicole manifestazioni di supporto al monarca mentre contemporaneamente solerti sbirri aprivano il fuoco su chi manifestava contro (ottima maniera di venire meno alle promesse fatte pochi minuti prima).

giovedì 13 gennaio 2011

Tunis, black blocks e isolamento

Perché la Tunisia è un Paese all'avanguardia e pur di non perdere il treno dello sviluppo adotta tutte le innovazioni e le pratiche di casa nostra.
Così in queste ore il governo Ben Ali, che pare non avere nessuna intenzione di cedere il potere, sta mettendo in piazza e per le strade una raffinata strategia di guerriglia urbana. Martedì pomeriggio la rete si era messa in allerta per le voci che prevedevano un utilizzo dal parte del ministero dell'interno di agenti infiltrati ed incappucciati che avrebbero dato l'assalto a negozi e banche. Puntualmente la sera stessa il canale nazionale Tunis 7 trasmetteva le immagini registrate da una presunta telecamera di sicurezza le quali mostravano dei giovani incappucciati nell'atto di attaccare una banca.

mercoledì 12 gennaio 2011

Tunisia, ultimi aggiornamenti su quanto accaduto ieri notte

Notte calda a Tunisi. Verso le undici nel quartiere popolare di Hayy Ettadhamen viene data alle fiamme una stazione di polizia e viene assediato il Centro della Guardia Civile. La polizia reagisce e si parla di alcune vittime. Gli agenti riescono a disperdere la folla e ad isolare il quartiere. Intanto vengono registrate attività simili nei rioni di Omrane superiore e Intilaqa.
Notizia importantissima è quella del rifiuto del Capo di Stato Maggiore dell'esercito tunisino Rashid Ammar di usare la forza contro i manifestanti, rifiuto che gli è costato l'espulsione e la sostituzione col tenente generale Ahmed Shabbir.
Nella città di Regueb testimoni oculari affermano di aver visto l'esercito puntare i mitra contro la polizia intimandoli a fermarsi e permettendo ai manifestanti di salvarsi.
Parrebbe che quindi una parte consistente dell'esercito si stia schierando apertamente.
Alla luce di questi fatti alcuni membri della famiglia Trabelsi, i Materi, hanno già preso il volo, atterrando ieri notte all'aeroporto di Montreal, Canada.
A gran voce si chiede all'esercito di impedire la fuga del presidente.
Ci aggiorniamo a breve nei commenti e sulla pagina Facebook.

False proteste del pane e vere lotte di liberazione

ricevo e pubblico un articolo di Anna Castiglioni


“L'aumento dei prezzi del pane aveva fatto esplodere l'esasperazione della popolazione tunisina…”
E’ una frase tratta da uno degli ultimissimi articoli sui fatti di Tunisi, in questo caso pubblicato da La Repubblica. Non che la Repubblica faccia peggio di altri organi di informazione.
Dalla televisione ai quotidiani sembra che per i media italiani la falsa e fuorviante definizione di “rivolta del pane” sia la più gettonata. Non so se per risparmiare sui tempi televisivi, accomunando così due notizie e due paesi nettamente distinti, se per disinformazione causata da ignoranza o se per una disinformazione più studiata, che associare la parola dittatura al governo di Ben Ali potrebbe essere cosa non gradita. Ma se rimane il dubbio che mentano sapendo o meno di mentire, è invece una certezza che parlare di rivolta del pane significhi, giustappunto, mentire.


martedì 11 gennaio 2011

Tunisi, manifestazioni e scenari possibili. Ipotesi di lettura.

Quello che sta accadendo così rapidamente giusto di fronte a noi, in un Paese che mi ha dato tanto ed al quale sono profondamente legato, non mi lascia nemmeno il tempo di mettere in ordine i pensieri. 
La Tunisia è stata per anni vittima di un potere che ha esercitato la corruzione e la censura impunemente.
La famiglia della "First Lady" Layla Trabelsi ha accentrato nelle sue mani un considerevole patrimonio, gran parte delle principali aziende del Paese appartengono al clan. 
La corruzione della polizia mista alla disperazione di un giovane accende la miccia di una rivolta che i quotidiani italiani, con una tecnica che padroneggiano ormai benissimo, ha subito battezzato "rivolta del pane".
I manifesti con il volto del presidente che campeggiano in ogni città e che per legge devono essere esposti in ogni esercizio pubblico vengono strappati e dati alle fiamme.
La polizia spara sui manifestanti. Spara e spara. Spara su un Popolo che per Costituzione non ha diritto al possesso delle armi.  I figli di chi ha dato la vita per costruire la nazione si trovano oggi costretti a sognare di lasciarla, incapaci di poterla immaginare diversa, e nel momento in cui trovano il coraggio di esigere un cambiamento lo Stato, che per Costituzione deve difendere il popolo inerme, utilizza le bocche di fuoco dei suoi uomini per coprire le grida di chi vuole qualcosa di diverso dal proprio Paese.

lunedì 10 gennaio 2011

Tunis, il giorno della manifestazione

Oggi verso l'una Tunisi ha assistito alla manifestazione che attendeva da settimane. Il gruppo di manifestanti, in principio davvero esiguo, si raggruppa al Passage, importante ed ampio nodo urbano della capitale. Il posto è “presidiato” da parecchi poliziotti in borghese che immediatamente invitano i ragazzi ad abbandonare la piazza cercando di separarli. Al gruppo iniziale si aggiungono sempre più persone e si cominciano a scandire slogan e a cantare l'inno. Quando il gruppo ormai
sempre più numeroso decide di dirigersi verso Avenue Bourguiba, il cuore della città, interviene anche la polizia in uniforme cercando di fare blocco. Cominciano i primi tafferugli, chi è in prima fila prende qualche manganellata ma il gruppo riesce a trovare un varco ed incamminarsi, facendosi corteo. Dopo essersi ben incanalato lungo la via la polizia effettua una carica da dietro riuscendo rapidamente a disperdere la folla.
Parrebbe ci siano stati due soli arresti e che domani gli istituti scolastici rimarranno chiusi.
Quella che sembrerebbe la cronaca di una normale manifestazione assume in Tunisia tutto un altro significato, è il regime che mostra delle crepe. Può essere l'inizio di qualsiasi cosa, della realizzazione di un sogno così come il concretizzarsi di un incubo.

domenica 9 gennaio 2011

Da Sidi Bouzid a Tunis, resoconto confuso di una rivolta azzoppata

Nella sua celebre muqaddima lo storico tunisino Ibn Khaldun mette in luce quella che sembra essere stata una dinamica costante dei Paesi mediterranei, in particolar modo di quelli arabi: l'avvicendarsi al potere di popolazioni nomadi le quali una volta sedentarizzatesi ed assaporati i piaceri e le comodità della città finiscono per infiacchirsi e per essere rapidamente sostituite da altre popolazioni nomadi. Per quanto riguarda l'Africa mediterranea queste ondate di rinnovamento sono sempre provenute dalle montagne e dalle steppe dell'interno.
Oggi le fiamme che stanno scuotendo la Tunisia si sono dipartite proprio da quelle zone dell'interno: Sidi Bouzid, Gafsa, El Kef. E' ovvio che non si tratta di nomadi lanciati alla conquista del Palazzo eppure forse per la prima volta dalla rivolta del pane dei primi anni ottanta la Tunisia sta vivendo una serie di manifestazioni che interessano un numero sempre maggiore di città.