sabato 24 aprile 2010

Concorso musicale nazionale palestinese: la maledizione del satellite persegue i partecipanti.

Ramallah (Cisgiordania) – Reuters – 

Si è concluso ieri presso l'istituto nazionale di musica “Edward Saiid” il concorso “Musicale nazionale palestinese” con la partecipazione di 380 compositori, musicisti e cantanti provenienti da Cisgiordania, striscia di Gaza, Gerusalemme, Golan siriano occupato e palestinesi che vivono in Israele.

Il direttore generale dell'istituto di musica Sahil Khoury al termine dell'esibizione canora di 14 ragazzi e ragazze, ha detto: “Hanno partecipato con noi a questa terza edizione del concorso “Musicale nazionale palestinese”  380 concorrenti nelle sezioni di musica orientale e classica, composizione e canto nelle sedi dell'istituto a Gerusalemme e Ramallah sia con la presenza personale che in video conferenza”.
Ha aggiunto: “Tutte le competizioni, eccetto quella di canto, si sono tenute a Gerusalemme, ed i concorrenti, palestinesi di Israele, del Golan, della striscia di Gaza e della Cisgiordania hanno partecipato insieme a noi dall'otto di questo mese; la cerimonia conclusiva per annunciare i risultati e proclamare i vincitori si terrà domani [l'articolo è del 19 aprile] al Palazzo della cultura di Ramallah.

Il musicista Marcel Khalife fa parte della commissione che giudicherà le composizioni di 14 partecipanti.
Dice Khoury: “Quest'anno abbiamo un nuovo premio intitolato a Marcel Khalife dedicato ai giovani compositori palestinesi, vuole essere un incoraggiamento all'innovazione ed un sostegno per i giovani autori che abbiano meno di 40 anni”.
La giuria del concorso, che includeva il compositore Issa Boulos, il suonatore di 'ud Samir Jubran, e gli artisti Rima Talhami e Hani Asaad ha ascoltato ieri, nel salone dell'istituto, 14 voci che hanno cantato Umm Kalthoum, Mohamed Abd el Wahab, Abd el Halim Hafez, Fairouz, Samih Shakir e Marcel Khalife, tra le quali sono ne sono emerse di promettenti.
Rima Talhami ha affermato che “i concorsi ci danno la possibilità di ascoltare giovani voci palestinesi che vogliono esprimersi. Oggi abbiamo ascoltato delle voci molto belle e mi permetto di dire tra le migliori presenti sulla scena artistica”. Ha aggiunto che “queste voci grezze hanno bisogno di essere protette così come hanno bisogno che si lavori di più affinché si preferisca lo spirito delle canzoni al facile sentimentalismo che propongono in questi giorni i canali satellitari. Bisogna presentare il patrimonio canoro nella sua cornice”.
Ha rilevato inoltre che la fascia di età più piccola nella competizione canora, quella fino ai 16 anni, non era di un livello adeguato, “sembrava influenzata dai canali satellitari e dal modo di cantare che promuovono i grandi, perciò la commissione ha invitato a non assegnare il primo premio a nessun partecipante”.
Boulos non è apparso soddisfatto del livello dei partecipanti e ha detto: “non si tratta di cinismo... il canto deve essere studiato, appreso. Bisogna imparare dalle esperienze dei grandi artisti come Umm Kalthoum... cantare non è solo ripetere le parole”.

Articolo apparso su Al Hayat.

giovedì 22 aprile 2010

Fonti attendibili

mercoledì 21 aprile 2010

Olocausto, chi insegna a chi?

Articolo di Bassam Bounenni tratto da al-Akhbar


Attraverso la rete dei centri culturali le ambasciate francesi nel mondo arabo hanno iniziato una serie di conferenze sul Progetto Aladdin, volte a farci prendere coscienza dell'olocausto! Ma poiché la Tunisia istituzionale ultimamente si è impegnata nello scegliere quale popolo può darle delle lezioni, la prima delle conferenze ha tirato già le mura del centro culturale francese di Tunisi. Va da se che non è necessario ricordare che gli organizzatori non hanno avuto bisogno di alcun permesso, come succede invece per le attività che l'opposizione od i sindacati organizzano per la causa palestinese. Qui di seguito le cause sufficienti al rifiuto della partecipazione tunisina al progetto.
In primo luogo non c'è un tunisino che si rispetti che dubiti dell'olocausto. Forse la dichiarazione di Habib Bourguiba al giornale "L'action" (2 gennaio 1938) e la migliore prova di ciò. Il fondatore della Repubblica tunisina disse:"L'ebraismo è una religiosità mentre il sionismo è una tesi". Chiedeva che si distinguesse tra ebraismo e sionismo, esattamente come i pensatori durante la seconda guerra mondiale chiedevano che si distinguesse tra Germania e nazismo. In secondo luogo come possiamo accettare lezioni sull'olocausto? Forse i responsabili del progetto (portato avanti da una Francia che maschera le porcherie della sua storia coloniale) ignorano che migliaia di tunisini ebrei avevano portato la stella gialla mentre altri erano costretti a lavori ridicoli? E chi dubita anche solo un secondo del fatto che i tunisini musulmani abbiano protetto gli ebrei dalle forze naziste in Tunisia tra il 42 ed il 43, come Khaled 'Abd el-Wahhab, il primo ebreo al quale la fondazione Yad Vashem abbia concesso il titolo di "filantropo"?

I responsabili del progetto negano la storia e la manipolano. Quando Parigi ha riconosciuto il ruolo storico di Moncef Bey nel combattere il nazismo nel nostro Paese? O forse agli antenati degli organizzatori del progetto Aladdin è stato sufficiente spogliarlo dell'accusa di "collusione con i nemici"? Ai francesi conviene riconoscere il valore di questo leader prima di impartirci lezioni di rispetto alle vittime della guerra. La riabilitazione è un dovere per via della loro storia coloniale in Tunisia. Infine come può il governo accettare di far parte del progetto se i suoi promotori si rifiutano di accettare l'olocausto palestinese? E l'Unesco, sotto la pressione di Israele e dei suoi amici, non si è forse tirata indietro nel riconoscere il sionismo come una forma di razzismo?
E se il nostro Paese avesse permesso di ospitare questi seminari avremmo dovuto accettare l'arrivo di Serge Klarsfeld, padre del soldato israeliano Arno Klarsfeld? E se il progetto Aladdin fosse una porta alla "normalizzazione"?

sabato 17 aprile 2010

Nilesat mantiene il silenzio riguardo la decisione del Congresso sul satellitare


di Riham Ahmad Nagib

Nel momento in cui i mezzi di informazione, gli intellettuali e gli artisti lo reclamano, la società Nilesat deve rispondere alle assurdità e agli abusi americani, all'ingerenza del Congresso statunitense negli affari interni arabi e al fatto che detti [a noi arabi] le sue condizioni su cosa possa o meno andare in onda.
I responsabili di Nilesat affermano che stanno avendo a che fare con quello che definiscono “Progetto del Congresso americano di classificazione degli operatori del satellitare in funzione anti-terrorismo” passivamente ed ignorando la questione, impegnandosi a tacere e a non rispondere a questo discorso inaccettabile ed improponibile; il silenzio è il miglior commento e la migliore risposta a questa faccenda!
Fonti attendibili di Nilesat sostengono che la società egiziana non ha ricevuto da parte straniera (americana e no) alcuna comunicazione al riguardo […]. Un rifiuto è la risposta più chiara ad un simile progetto, che è stato discusso e dibattuto dal Congresso senza  una partecipazione araba di nessun tipo ed a nessun livello.
Le fonti affermano che il progetto non è ancora diventato un disegno di legge quindi è impossibile opporvisi. Così come insinuano che ci sia una forte influenza delle lobby sioniste negli Stati Uniti tra chi prende le decisioni, soprattutto in materia di media e cinema...
Affermano inoltre che, sin dal lancio del primo satellite egiziano, non si aspettavano ingerenze esterne su ciò che mandano in onda o sui canali che trasmettono via satellite, e questo perché operano rispettando delle regole ed un codice d'onore. La più importante di queste regole è quella che impedisce a questi canali di incitare allo scontro confessionale, di trasmettere scene di sesso o di offendere le tre religioni monoteiste; in mancanza di queste non ci sarebbe tutela per quello che il satellite porta nello spazio.
I membri del Congresso avevano già richiesto un progetto di legge che regolamentasse gli operatori del satellitare in Medio Oriente affinché questi ultimi controllassero le “organizzazioni terroristiche”, impedendo le trasmissioni a canali ritenuti ostili agli Stati Uniti d'America e alla loro politica estera. Quello che serve agli scopi coloniali degli Stati Uniti nella regione, sia in Iraq che in Afghanistan che negli altri Paesi musulmani ed arabi, così come ad Israele per le pratiche disumane ed i massacri che commette in Palestina ed in tutti i territori occupati, è ignorare questi massacri e queste pratiche, cancellare ogni riferimento ad essi ed ogni loro trasmissione via satellite. Il tutto specialmente dopo che alcuni canali arabi (di informazione e generalisti) hanno raggiunto le masse  americane ed europee, fatto in grado di svelare le colpe vergognose della politica estera americana e della farsa sionista contro gli arabi in Palestina ed in Libano.
I responsabili della società satellitare egiziana hanno invitato i canali arabi ad aderire ad un codice d'onore dell'informazione per non dare ad altri l'occasione per screditarli, in modo da fornire un esempio di informazione obiettiva alle popolazioni arabe.
Si ricordi che in precedenza Nilesat aveva chiuso in maniera diretta un certo numero di canali che invitavano alla magia ed alla stregoneria mentre, specialmente dopo che tre anni fa i canali più rinomati avevano rilasciato il certificato, ne aveva chiusi degli altri per vie indirette e senza rilasciare dichiarazioni scritte.
Su un altro fronte Anis al-Faqiy, ministro dell'informazione, mantiene il silenzio intorno all'argomento, come se non ne avesse sentito parlare non ha commentato né negativamente né positivamente, come se il fatto non lo riguardasse minimamente, come se l'Egitto non rappresentasse l'unico Paese arabo a possedere dei satelliti!!!


Articolo originale apparso su al-Araby.

giovedì 15 aprile 2010

Egitto: l'opposizione insorge... e la polizia reprime.

Il Cairo - "Al-Quds al-arabi"

Ieri il centro del Cairo è stato teatro di un faccia a faccia violento tra gli attivisti del movimento Kifaya e dei partiti “Al-ghad" (Il domani) e “Al-karama wa al-'amal" (Dignità e lavoro) e le forze di polizia. Queste ultime hanno aggredito i manifestanti riunitisi di fronte al palazzo della Corte Suprema sia per denunciare quel che loro definiscono una violazione alla sicurezza dell'opposizione ed un eccesso nelle manifestazioni di violenza ed abusi contro i propagandisti delle riforme politiche, sia per dire no al perpetuarsi al potere del partito di governo  durante la prossima tappa (elettorale).
Nelle dichiarazioni ad “Al Quds al-arabi” il dottor Abd el-Halim Qindil, coordinatore generale del movimento Kifaya,  ha segnalato che le forze di sicurezza hanno aggredito, con linciaggi e percosse, cinque manifestanti ed un certo numero di astanti, tra cui alcune ragazze che si trovavano sul marciapiede di fronte alla sede della Corte Suprema, per impedire loro di unirsi al movimento di protesta Kifaya. I manifestanti ripetevano slogan come “Libertà dove sei, le forze speciali tra noi e te” o “Mille saluti e stima a chi ha scioperato il 6 aprile” o ancora “Hanno venduto il nostro Paese in dollari e hanno creato una comitato di politici”.
Nelle dichiarazioni esclusive ad “Al Quds al-arabi” il deputato dei Fratelli Musulmani Muhammad al-Beltagi ha affermato, subito dopo essere stato colpito con alcuni pugni da chi si opponeva alla sommossa, che il regime non fa differenze di trattamento tra giovani e anziani e chi gode dell'immunità parlamentare […], ha inoltre espresso il suo rammarico per il fatto che il partito di governo abbia ridotto l'Egitto e gli egiziani a livelli estremi di povertà, fame e malattia e abbia aperto la porta alle imprese affinché saccheggiassero il paese.


Un estratto dell'articolo di Hissam Abu Talib apparso sul "Al Quds al-arabi" del 14 aprile 2010.

lunedì 12 aprile 2010

Lezione kirghiza ai popoli arabi.

Il Kirghizistan è un piccolo Paese dell'Asia centrale i cui abitanti sono in gran parte musulmani. Vi si trovano due basi militari, una americana e l'altra russa e le sue forze di sicurezza hanno una notevole esperienza nelle repressioni. Ciononostante non è stato possibile a queste basi né a queste forze di sicurezza proteggere il presidente Karman Bik Bakiyev dalla rabbia del popolo, che è sceso per le strade in una manifestazione clamorosa.
Questa è la seconda volta negli ultimi cinque anni che il popolo kirghizo si rivolta, che il presidente fugge per salvarsi la vita,  che il Palazzo della Repubblica è oggetto di saccheggi e di incendi per mano della gente che protesta in massa e che l'opposizione prende il potere promettendo di organizzare elezioni parlamentari e presidenziali imparziali nell'arco di sei mesi.
L'autorità del presidente Bakiyev, come quella dei suoi omologhi in diversi Paesi arabi, è un esempio di degenerazione e nepotismo, saccheggio delle finanze pubbliche, utilizzo delle forze dell'ordine per reprimere i movimenti d'opposizione e abolizione delle libertà. Ma più importante ancora è il fatto che questo presidente, arrivato al potere cinque anni fa in seguito ad una sommossa popolare chiamata dagli americani "Rivoluzione dei tulipani", abbia truccato le elezioni, piazzato membri della sua famiglia in posti importanti e delicati e predisposto il figlio maggiore alla sua successione, esattamente come i nostri governanti arabi.
Il detonatore della rivolta che lo ha rovesciato si è acceso nel momento in cui il governo ha aumentato il prezzo dei carburanti, tuttavia i fattori scatenanti si stavano "gonfiando" dopo che la fame aveva raggiunto nel Paese livelli insopportabili, mentre il tasso di disoccupazione era arrivato a più del 40%.
Il presidente Bakiyev ha rappresentato un esempio di opportunismo politico e manipolazione della sovranità nazionale, affidandola ai maggiori contribuenti del Paese. Ha trasformato la capitale in un bordello per le forze americane, più di 35mila soldati provenienti dall' Afghanistan l'hanno visitata ogni mese, per trascorrervi una piacevole vacanza o come punto di partenza per altri punti del mondo.

* * *

Ha corteggiato Mosca, facendo intendere la sua disponibilità a chiudere la base aerea americana di Manas, vicina alla capitale, durante la sua ultima visita. I russi hanno risposto immediatamente a questo corteggiamento e hanno proposto un aiuto di 2 miliardi e 250mila dollari. Poi ha portato l'offerta agli americani che lo hanno pagato di più, aumentando l'affitto annuale della loro base (180 milioni di dollari) di tre volte, denaro che è finito per la maggior parte nelle tasche della sua famiglia.
Ma non gli è bastato, una società appartenente ad un membro della usa famiglia ha ottenuto un generoso contratto per la fornitura di carburante agli aerei americani, oltre alle necessità alimentari. E' ironico che gli americani, difensori della democrazia e della trasparenza, paladini della lotta alla corruzione, fossero i più felici per questo accordo. L'amministrazione Obama, come quella del presidente Bush, sapeva di tutte queste trattative corrotte; tuttavia quando la scelta è tra stabilità e democrazia (con tutti i suoi corollari) sceglie la prima, favorendo i suoi interessi e mantenendo la base. Questo spiega il sostegno a numerose dittature corrotte nella regione araba.
Il Kirghizistan è un Paese ai confini del più grande progetto di democrazia occidentale al mondo, cioè l'Afghanistan, sotto la cui bandiera vengono uccisi quotidianamente soldati americani, questo però non impedisce a Washington di tacere sulla lista nera e le malefatte del presidente kirghizo nell'ambito dei diritti umani, come l'uccisione dei giornalisti, la censura della stampa, i processi agli esponenti dell'opposizione secondo le leggi d'emergenza.
La domanda che si pone con forza riguarda le cause che portano a queste rivolte popolari che terminano col rovesciamento di regimi corrotti in Paesi come il Kirghizistan in Asia centrale e la Bolivia in America Latina: non ne vediamo di esempi simili nelle nazioni arabe?

* * *

Le condizioni del Kirghizistan sono indubbiamente più favorevoli di quelle di Paesi arabi come l'Egitto, per questo vediamo il suo piccolo popolo che sfiora i 5 milioni di abitanti scendere nelle strade chiedendo cambiamenti e riforme.
Ma lasciamo stare l'Egitto e passiamo in Cisgiordania dove il popolo palestinese vive sotto l'occupazione, è oggetto di ogni tipo di umiliazione ai check point israeliani, vede i suoi luoghi santi venire "ebreizzati" alla luce de sole e nonostante ciò non assistiamo ad una sola manifestazione di protesta contro il potere o contro la "pace economica" che sta realizzando il ministero del signor Salam Fayyad.
Alcuni discutono se non siano la repressione sanguinaria dei regimi arabi e le loro forze di sicurezza a spingere le masse all'arrendevolezza ed alla sottomissione, ed è vero, ma le forze dell'ordine kirghize hanno dimostrato di essere più repressive e feroci aprendo il fuoco sui dimostranti ed uccidendone cento. Incuranti di questo hanno perseverato nella loro marcia di protesta, fino ad irrompere nel Palazzo della Repubblica e a dargli fuoco.
I popoli vivi sono quelli che si oppongono a repressione e terrorismo in nome dei loro diritti fondamentali e per la difesa dei loro interessi, sono quelli che si sacrificano per questo scopo nobile, sembra quindi che la questione non riguardi solo i governanti arabi ma anche i popoli.

* * *

Quello che sta accadendo in Kirghizistan è un fenomeno che deve essere studiato dai governanti e dai popoli arabi, questo popolo ha pochi numeri (solo 5 milioni di abitanti) ma una grande volontà e determinazione, ha combattuto corruzione e nepotismo, ha rovesciato il presidente, la sua famiglia e il suo erede.
Ma forse la lezione più importante è per quei leader arabi che ritengono che le basi straniere possano riservare una protezione a loro e ai loro governi quando la strada insorge per destituirli e introdurre riforme politiche e democratiche reali.
Avvertiamo un senso di sconfitta meditando sulle nostre condizioni: i muri sono caduti (Berlino), le dittature più dure, di sinistra e di destra, sono crollate e divenute Storia, i valori democratici hanno raggiunto le repubbliche delle banane, ma nonostante questo il mondo arabo persiste nel suo stato, o addirittura peggiora, laddove la maggior parte dei suoi governanti soffre di vecchiaia, di tumore, o di entrambi.


Articolo apparso sul quotidiano Al-Quds al-arbi del 10 aprile 2010, scritto dal direttore 'Abd al-Bari 'Atwan



domenica 11 aprile 2010

Crisi dell' hashish in Egitto

 Questo articolo è apparso sulla prima pagina di Al-Quds al-arbi di ieri


Dopo il pane, il gas ed il rinnovo (della classe politica n.d.t.) in Egitto scoppia la crisi dell'hashish.

Londra - "Al-Quds al-arbi"
di Ahmad el-Masri

In questi giorni l'Egitto sta vivendo un tipo particolare di crisi, che fa seguito a quelle del pane, del gas e della successione (politica). E' scoppiata la crisi dell'hashish e su numerosi siti internet si sono diffuse delle campagne che chiedono il ritorno dell'hashish e la riduzione dei suoi prezzi. L'ultima di queste campagne, "Insieme contro la crisi dell'hashish in Egitto" apparsa su Facebook, arriva in seguito al recente aumento folle dei prezzi.
Il conduttore televisivo egiziano Amr Adib ha tenuto un dibattito sulla questione nel suo programma "Il Cairo oggi" dicendo: "Noi non ci soffermiamo sulla scomparsa dell'hashish quanto sulle lamentele per la sua scomparsa".

I consumatori di hashish hanno cominciato ad avvertire la penuria di questo tipo di droga sul mercato, sostiene un abitante del Cairo :"Ho comprato dell'hashish per 3500 ghinee (635 dollari) in occasione del mio matrimonio, alcuni mesi fa potevo comprare la stessa quantità per 2600 ghinee (470 dollari)" e aggiunge "ho passato mesi cercando qualcuno che mi potesse trovare dell'hashish e tutti dicono che ora non ce ne è". Un altro consumatore di questo tipo di sostanza dice che "è diventato difficile procurarsi dell'hashish al Cairo" per cui ha fatto un giro presso certi spacciatori di Banghu, il cui ha aumentato il prezzo notevolmente. Un fumatore sostiene di preferire l' hashish ma che il Banghu è decisamente il più forte.

 Un analista politico (che preferisce mantenere l'anonimato per nnon mettere in relazione il suo nome con la droga) osserva che "certe persone ritengono che la scomparsa dell'hashish sia da imputare ad un sabotaggio da parte di responsabili corrotti che hanno successivamente aumentato i prezzi". L'analista aggiunge che "la gente considera comunemente  che la corruzione sia diffusa nel governo e nella polizia e da ciò (deriva) la grande mancanza di fiducia tra le due parti".


Nel testo originale si fa sempre riferimento all'hashish حشيش anche se è da intendersi come cannabis, generalmente consumata in foglie (e fiori). Banghu è un altro tipo di cannabinoide, più forte ma più impuro.

venerdì 9 aprile 2010

Accordo storico Stati Uniti - Russia. Si stringe la morsa sull'Iran

Mosca e Washington riducono gli armamenti nucleari del 30% ed il presidente russo si dispiace per la mancata collaborazione di Teheran... e per le sanzioni sul petrolio.

Washington-Praga-Londra: "Asharq al-Awsat"
Ieri Stati Uniti e Russia hanno firmato un accordo storico sulla riduzione dei loro potenti arsenali nucleari (più volte vicini a distruggere il mondo) inviando così un segnale a quelle nazioni che si sono impegnate ad acquisire armi nucleari, affinché rinuncino alle proprie ambizioni. Allo stesso tempo le dichiarazioni dei due Paesi, dopo la firma dell'accordo a Praga tra il presidente americano Barak Obama ed il russo Dmitri Medvedev, hanno manifestato all'Iran l'intenzione di stringere il cerchio sul dossier nucleare. Questo avviene 48 ore dopo l'annuncio di Obama riguardante la sua strategia nucleare, che comprende la rinuncia a servirsi di armi atomiche contro Paesi che non ne dispongono, escludendo tra essi Iran e Corea del Nord.

Obama ha affermato che il suo Paese lavora con la Russia per imporre all'Iran sanzioni più dure ed ha aggiunto: "Lavoriamo insieme al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite affinché passino sanzioni più dure contro l'Iran e non saremo indulgenti con comportamenti che violino il trattato di non proliferazione". 

Dal canto suo Medvedev, dopo aver sottoscritto il trattato, ha espresso il suo rammarico per il mancato adempimento dell'Iran ai "consigli" riguardo il suo programma nucleare. Ha anche detto che se le sanzioni saranno imposte è necessario che siano intelligenti. Ha descritto le sue discussioni con Obama sulla natura delle sanzioni imposte all'Iran a causa del suo programma nucleare come serene ed aperte.

Il nuovo trattato firmato ieri ridurrà gli arsenali nucleari strategici, che i due vecchi nemici avevano sviluppato durante la guerra fredda, di circa il 30% nell'arco di sette anni. Tuttavia rimangono ad entrambi armi sufficienti ad annientare l'altro.

Ieri la Casa Bianca ha affermato che gli Stati Uniti non fisseranno come obiettivo delle sanzioni all'Iran il cambio del regime. Un alto responsabile americano ha detto, da parte sua, che i presidenti americano e russo durante il summit di Praga hanno discusso la possibilità di imporre sanzioni al settore energetico iraniano. Intanto ieri a New York sono cominciati, a livello diplomatico, dei dibattiti tra le nazioni (5+1) che rappresentano i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza con l'aggiunta della Germania e la presenza della Cina, le quali hanno confermato la loro collaborazione.

Susan Rice, ambasciatrice americana alle Nazioni Unite, ha dichiarato alla stampa presente a New York: "Le trattative sono cominciate da tempo nelle capitali  ma è qui la realtà dei fatti, qui si concretizzano. Lavoriamo per una rapida risoluzione".

A queste [affermazioni] ha ribattuto ieri il Capo di Stato Maggiore iraniano Hassan Fayruz Abadi dicendo che il suo Paese risponderà a qualsiasi aggressione militare mossa dagli Stati Uniti colpendo le forze americane stanziate in Medio Oriente.


Articolo originale apparso sul quotidiano As-Sharq al-Awsat.

giovedì 8 aprile 2010

Shadha Hassun celebra l'occupazione dell'Iraq!

“Promessa di 'Arqub” è un modo di dire, utilizzato per indicare la violazione di un accordo, ispirato al racconto di 'Arqub, un gigante che promise a suo fratello un dattero della sua palma ma venne meno a tale promessa.
“Promessa di 'Arqub” è anche il titolo di una nuova canzone dell'irachena Shadha Hassun.
Il brano narra la storia di una ragazza che pone fine alla sua relazione con un giovane che ha tradito la promessa fatta-le.
Tuttavia la visione del videoclip pone numerosi interrogativi.
Il più importante tra questi è la relazione della canzone con un Paese come l'Iraq?
Perché il video raffigura la storia di una irachena che durante l'occupazione si innamora di un soldato americano e rifiuta di riprendere la relazione dopo averla interrotta?
E' possibile che questa sceneggiatura, estranea all'argomento della canzone, abbia degli aspetti che esulano dall'ambito artistico?

Forse dobbiamo tornare agli inizi [della carriera] di Hassun per capire le problematiche della canzone.
Alla fine di luglio del 2007 la selezione irachena di calcio vinceva la Coppa d'Asia. Era naturale che la gente festeggiasse per la vittoria della propria squadra e per l'occasione videro la luce numerose canzoni-meteora.
Nello stesso periodo Hassun (classe 1980) viveva l'ebbrezza per la sua vittoria, la consacrazione a stella di Star Academy.
In quanto irachena era naturale che inaugurasse il suo cammino con una canzone dedicata alla selezione del suo Paese.
Così usciva [il singolo] “Ibn bilady... mansur bi-idhn Allah” (Figlio del mio Paese... vittorioso per volere di Dio) al quale aggiungeva un comunicato promozionale destinato alla televisione nel quale appariva con tre giocatori della nazionale irachena.
Quel giorno il comunicato raccontava della fiducia degli iracheni nella ricostruzione del loro Paese sfinito dalle guerre.

Il problema è che quel giorno Hassun non aveva coscienza del fatto che la nazionale del suo Paese aveva segnato un gol non solo contro la selezione saudita ma anche contro le società di produzione e le televisioni satellitari che hanno in mano il mercato artistico arabo, le quali, in sintesi, sono... saudite!
La giovane cantante era quindi entrata in una guerra che l'ha stretta d'assedio fino a quando, dopo più di due anni, non ha trovato un accordo per il quale ha accettato di cantare una canzone saudita dal titolo... “Wu'ud 'Arqub” (Promessa di 'Arqub). Come abbiamo detto la canzone racconta la storia di una ragazza abbandonata dal suo amato il quale dopo un certo periodo torna da lei ma viene respinto.
Fin qui le cose sembrano normali. Però, improvvisamente, compaiono l'Iraq, l'occupazione e una storia d'amore iracheno-americana! Hassun conversa col suo amato americano e lo rimprovera, seduta nella sua stanza da letto... che si trova all'interno di un camion militare!
Questa brutta immagine può spingerci a riflettere sul mistero che sta dietro all'accordo commerciale che Hassun ha accettato per interrompere la guerra mossa-le dalle società di produzione finanziate dai sauditi. Un accordo che mirava a denigrare la donna irachena, e che ha permesso l'uscita imminente del primo album di Hassun, ostacolato per tre anni.

Ma non basta la visione quotidiana del sangue degli innocenti versato sul suolo iracheno da anni, persino lo sfruttamento di una canzone per offendere un popolo che non ha niente a che fare con quello che sta succedendo? Il Paese dei due fiumi è diventato la vacca che tutti vogliono mungere?
Domande amare per una realtà amara.


Il videoclip in questione è visionabile su
youtube (appena capirò come fare inserirò direttamente la finestrella del video, anzi, sono graditi suggerimenti).


Articolo originale di Hussein as-Sakkaf reperibile sul sito di
al-Akhbar.

Premessa?

Buongiorno a tutti. Può sembrare ridicolo ma mi imbarazza molto dover scrivere una premessa. Mi imbarazza anche scrivere pubblicamente.
Tuttavia l'idea di rendere fruibili articoli difficilmente accessibili a tutti mi sembrava buona e quindi alla fine mi sono deciso e mi accingo a tuffarmi in questa avventura. Spero solo che molti amici siano disposti ad affiancarmi nell'impresa, quanto meno per alleggerirmi dalla responsabilità di dover fare tutto da solo.


In due righe vorrei spiegare il perché di questo titolo e di questa immagine.

Canale di Sicilia mi è venuto in mente per diverse ragioni.
La prima, ma forse la meno importante, è che, come gran parte dei siciliani sono orgoglioso della mia terra e non perdo occasione per riempirmi la bocca col suo nome.
Per quanto riguarda il contenuto del blog invece ho pensato immediatamente al canale in questione come alla via principale che l'arabo percorre, ed ha percorso sempre, per giungere a noi (anche se le traduzioni non si limiteranno all'arabo). Inoltre il blog rappresenta effettivamente un canale, un canale informativo.

L'immagine invece è stata scelta insieme ad una delle persone che mi auguro collaborino al mantenimento di questa creatura. Il ragionamento fatto è stato semplice: cosa è una traduzione? Il riportare, senza alterarne il senso, un pensiero da una lingua ad un'altra. Le oche quindi rappresenterebbero la lingua che passa da un paesaggio all'altro senza mutare la propria sostanza, ma semplicemente cambiando colore.


Spero di essere stato chiaro ed esauriente... e spero anche, col tempo, di liberarmi da quest'imbarazzo.

Buona lettura.