mercoledì 27 luglio 2011

J'aime le guerra

Il dialetto tunisino non è una lingua. Lo definirei piuttosto un atto linguistico creativo. Libero da regole rigorose, si configura come una struttura leggera pronta ad integrare e trasformare qualsiasi parola o idea. Come una sorta di jazz che nel suo calderone riesce a mescolare suoni e ritmi provenienti da ogni tradizione musicale, allo stesso modo il dialetto tunisino declina a modo suo tutto ciò con cui viene in contatto. E l'atto comunicativo non conosce confini linguistici: passare da una lingua all'altra all'interno della stessa frase è cosa del tutto naturale.


Ieri, ad esempio, mi trovavo a passare da un fornaio di Bab el Khadhra, quartiere popolare ai limiti della medina. Biondo, carnagione chiara e già conosciuto dai bottegai della zona come straniero affabile, divento oggetto di una curiosa serie di domande riguardanti la salute dei principali capi di Stato europei: "Come sta Berlusconi? E Sarkozy?". Come se io, in quanto straniero di provenienza indefinita, rappresentassi tutto un continente, referente unico di una Europa poco distante ma, apparentemente, realtà dai confini confusi.
Poi il simpatico panettiere tiene a precisare la sua posizione riguardo agli stranieri. E lo fa con quello che, a mio parere, rappresenta un capolavoro linguistico. Portando la mano al petto mi dice sorridente: "Ena j'aime le guerra!!!" (o meglio "les gwerra").
Nel tentativo di non lasciare nulla vittima di eventuali incomprensioni, elabora una frase ricorrendo ai gesti, al francese e ad una parola che probabilmente alle sue orecchie deve sembrare europea, quindi da me comprensibile in virtù delle sue sonorità ed origini, ovvero "gwerra". 
La parola "ena", pronome che indica la prima persona singolare, è accompagnata dalla mano che indica sé stesso, il verbo amare è espresso in francese ed il complemento oggetto è veicolato da una parola tunisina dalle apparenti origini europee, "gwerra", che ad un orecchio italiano non può che far pensare ad un conflitto.
Invece, grazie a Dio, gwerra è semplicemente il plurale di gawri, ovvero straniero, europeo. 


Probabilmente si tratta di un aneddoto davvero poco interessante, ma qualche tiro "birichino" l'ha reso oggetto di approfondite analisi sociolinguistiche che, proprio a causa della loro natura (ovviamente non mi riferisco alla sociolinguistica) stamattina sono evaporate.

sabato 16 luglio 2011

Ben Ali è morto, lunga vita a Ben Ali

Dopo aver occupato la piazza della Casbah in due occasioni a febbraio, Tunisi si preparava ieri ad una terza occupazione prolungata della piazza del Governo organizzata principalmente da En-Nahdha, il partito islamico moderato, storico oppositore del regime, ma alla quale avrebbero partecipato cittadini normali, non necessariamente aderenti al partito di Ghannouchi. 
Per l'occasione il sindacato di polizia aveva invitato gli agenti a mantenere un comportamento decente, a non cedere alle violenze se non in seguito a provocazioni ed attacchi da parte dei manifestanti; in buona sostanza si chiedeva agli uomini delle forze di sicurezza di mostrarsi in quanto tutori dell'ordine e non in quanto braccio armato del potere, sarebbe stata un'ottima occasione per dimostrare alla cittadinanza come il Ministero degli Interni fosse realmente cambiato e come i metodi Ben Ali appartenessero solamente al passato.
Un altro sindacato il giorno prima si era mostrato attento alle richieste della cittadinanza: quello dei trasporti pubblici, che aveva garantito collegamenti gratuiti per i manifestanti provenienti da Gabes e dal sud del Paese.
Si è assistito quindi ad una mobilitazione generale, una parte delle istituzioni si stava dimostrando vicina alle istanze del popolo; finalmente i sindacati, ormai liberatisi dalle infiltrazioni degli rcdisti, stavano prendendo posizione attiva nel "processo di democratizzazione".


Insomma ieri tutto sembrava far presagire una manifestazione serena, una riappacificazione tra Popolo e Potere. Con questo spirito nel pomeriggio, verso le cinque, ci siamo diretti alla Casbah. L'accesso non era bloccato, come istintivamente prevedevamo, segno di apertura da parte degli Interni. Alla manifestazione erano presenti poche centinaia di persone, niente a che vedere con le folle oceaniche che avevano occupato la piazza durante Casbah 1 e 2. Quattro gatti e un paio di striscioni. Il "grosso" dei manifestanti stava ammassato sulle scalinate della moschea adiacente al municipio. Ad un certo punto un gruppo di loro si avvia verso le forze di polizia che presidiavano il cuore della piazza. Uno prende la testa del piccolo corteo improvvisato e tende la mano ad un dirigente di polizia. Si scambiano il saluto e due baci sulla guancia. A quel punto ho avuto solo il tempo di girare la testa per commentare ad un'amica quanto fosse strana la scena che sono partiti i primi colpi di lacrimogeno. I furgoni della polizia hanno rombato a gran velocità nel tentativo di disperdere i manifestanti, i quali in parte entravano nella moschea mentre altri si dirigevano verso Bab Mnara. Seguendo questi ultimi ci siamo alontanati dagli scontri per rientrare nella medina, avendo giusto il tempo di incrociare un gruppo di ragazzi, in direzione contraria, che stringevano tra le mani sassi e molotov. Con gli occhi e la fronte che bruciavano ancora ci siamo ritrovati con altri amici di fronte la moschea della Zitouna per mettere insieme i racconti. A quanto pare alcuni agenti, spinti dal desiderio di accarezzare i manifestanti con i loro manganelli, sono entrati fin nella moschea, violando un luogo sacro forse anche nel tentativo di provocare ulteriormente i militanti di En-Nahdha.
Successivamente non siamo riusciti ad entrare nella Casbah dato che la polizia, nel tentativo di proteggere la popolazione (testuali parole di un agente) non permetteva l'accesso alla piazza. Non sono quindi in grado fornire informazioni di prima mano su quanto sia accaduto in seguito, su cosa abbiano fatto i ragazzi armati di molotov e sassi né su cosa sia successo ai manifestanti rifugiatisi nella moschea.
Ma al di la di tutto questo il fatto più importante ed inquietante è stato la reazione spropositata delle forze di polizia, che hanno reagito ad un bacio, fosse anche stato provocatorio, con una scarica di lacrimogeni che non si era vista neanche nelle periferie durante gli scontri dei primi di maggio.


Quanto è accaduto mostra da un lato quanto sia ampio lo scollamento tra diversi settori della società, a partire dal sindacato di polizia, e gli apparati di governo, mentre dall'altro evidenzia come i metodi repressivi dell'epoca Ben Ali non siano affatto spariti ma facciano parte del patrimonio genetico degli uomini che hanno servito per anni il dittatore viola e che oggi continuano ad occupare le poltrone che contano. Se quindi Ben Ali è metaforicamente morto, il suo spirito è ancora vivo. Niente di strano quindi se il popolo chiede a gran voce le dimissioni del suo erede Beji Caid Essebsi ed un reale cambiamento nel Paese. Cambiamento che deve avvenire rapidamente dato che gli rcdisti, che fino a qualche tempo fa se ne stavano nascosti e silenziosi, oggi reclamano a gran voce una presenza nella nuova Tunisia ed agiscono attivamente e subdolamente infiltrandosi nelle manifestazioni e camuffandosi da barbuti, al solo scopo di gettare discredito su En-Nahdha (che non voglio assolutamente difendere, sia chiaro) ed esacerbare il conflitto tra laici e religiosi. Se il cambiamento non avverrà entro breve, il rischio che le conquiste della rivoluzione vadano perdute irrimediabilmente sarà davvero alto. 

domenica 10 luglio 2011

Rijal fi shams

Con l'arrivo della bella stagione e dell'estivo sole cocente, compaiono un po' ovunque per le vie di Tunisi. No, non sono gli scarafaggi, ma gli enormi manifesti pubblicitari di una nota ditta di cosmetici.
Io, come gran parte di tutti noi, sono sempre stato abituato ad assistere, in questo periodo, ad un susseguirsi di réclame che ci invogliano a d avere una pelle dorata. E' spettacolo comune vedere in estate, sui nostri litorali, centinaia di esemplari delle specie homo sapiens spiaggiarsi e agonizzare sotto i raggi del sole per ore, con il solo scopo di poter sfoggiare al termine delle vacanze un corpo abbronzato. Questo perché un corpo abbronzato, oltre ad essere “indubbiamente” più affascinante, comunica agli altri membri della specie un messaggio chiaro: sono stato in vacanza e non ho fatto nulla se non rilassarmi. In questa equazione la variabile “tempo trascorso ad oziare” è direttamente proporzionale ai toni di colore acquisiti, per cui andremmo da un bianchiccio “ho lavorato come un  mulo, non mi parlate delle vostre ferie” ad un più-che-mulatto “Professione girasole”.
Ma prima di perdermi in deliri poco pertinenti è meglio chi ritorni al punto di partenza.

 Dicevo dei manifesti pubblicitari. Ebbene, è sufficiente attraversare il mare in direzione sud per scoprire come le stesse ditte che da noi promuovono l'immagine di corpi bronzei  e ci propinano creme ed oli abbronzanti, qui vendano prodotti in grado di schiarire la pelle di almeno due toni. 


 Mentre noi cerchiamo di somigliare agli arabi, beninteso, solo per quanto riguarda  il colorito estivo, le donne arabe si sforzano nel mantenersi bianche, a costo di indossare quanti lunghi che proteggono mani e braccia dai capricci di una pigmentazione volubile.
 
Sembrerebbe quindi che l'essere umano non sia mai soddisfatto della propria condizione e cerchi sempre di essere altro da sé.
E' forse per questo che mi trovo dall'altra parte del Mediterraneo, vittima dell'insoddisfazione e di una nemesi che mi costringe a bramare un contratto ed un permesso di soggiorno, lavoratore europeo sottopagato in Tunisia.

 Ma felice e bianchiccio, con un cappello di paglia che mi protegge il volto dai raggi di un sole indifferente a i nostri crucci!