Il dialetto tunisino non è una lingua. Lo definirei piuttosto un atto linguistico creativo. Libero da regole rigorose, si configura come una struttura leggera pronta ad integrare e trasformare qualsiasi parola o idea. Come una sorta di jazz che nel suo calderone riesce a mescolare suoni e ritmi provenienti da ogni tradizione musicale, allo stesso modo il dialetto tunisino declina a modo suo tutto ciò con cui viene in contatto. E l'atto comunicativo non conosce confini linguistici: passare da una lingua all'altra all'interno della stessa frase è cosa del tutto naturale.
Ieri, ad esempio, mi trovavo a passare da un fornaio di Bab el Khadhra, quartiere popolare ai limiti della medina. Biondo, carnagione chiara e già conosciuto dai bottegai della zona come straniero affabile, divento oggetto di una curiosa serie di domande riguardanti la salute dei principali capi di Stato europei: "Come sta Berlusconi? E Sarkozy?". Come se io, in quanto straniero di provenienza indefinita, rappresentassi tutto un continente, referente unico di una Europa poco distante ma, apparentemente, realtà dai confini confusi.
Poi il simpatico panettiere tiene a precisare la sua posizione riguardo agli stranieri. E lo fa con quello che, a mio parere, rappresenta un capolavoro linguistico. Portando la mano al petto mi dice sorridente: "Ena j'aime le guerra!!!" (o meglio "les gwerra").
Nel tentativo di non lasciare nulla vittima di eventuali incomprensioni, elabora una frase ricorrendo ai gesti, al francese e ad una parola che probabilmente alle sue orecchie deve sembrare europea, quindi da me comprensibile in virtù delle sue sonorità ed origini, ovvero "gwerra".
La parola "ena", pronome che indica la prima persona singolare, è accompagnata dalla mano che indica sé stesso, il verbo amare è espresso in francese ed il complemento oggetto è veicolato da una parola tunisina dalle apparenti origini europee, "gwerra", che ad un orecchio italiano non può che far pensare ad un conflitto.
Invece, grazie a Dio, gwerra è semplicemente il plurale di gawri, ovvero straniero, europeo.
Probabilmente si tratta di un aneddoto davvero poco interessante, ma qualche tiro "birichino" l'ha reso oggetto di approfondite analisi sociolinguistiche che, proprio a causa della loro natura (ovviamente non mi riferisco alla sociolinguistica) stamattina sono evaporate.
mercoledì 27 luglio 2011
sabato 16 luglio 2011
Ben Ali è morto, lunga vita a Ben Ali
Dopo aver occupato la piazza della Casbah in due occasioni a febbraio, Tunisi si preparava ieri ad una terza occupazione prolungata della piazza del Governo organizzata principalmente da En-Nahdha, il partito islamico moderato, storico oppositore del regime, ma alla quale avrebbero partecipato cittadini normali, non necessariamente aderenti al partito di Ghannouchi.
Per l'occasione il sindacato di polizia aveva invitato gli agenti a mantenere un comportamento decente, a non cedere alle violenze se non in seguito a provocazioni ed attacchi da parte dei manifestanti; in buona sostanza si chiedeva agli uomini delle forze di sicurezza di mostrarsi in quanto tutori dell'ordine e non in quanto braccio armato del potere, sarebbe stata un'ottima occasione per dimostrare alla cittadinanza come il Ministero degli Interni fosse realmente cambiato e come i metodi Ben Ali appartenessero solamente al passato.
Un altro sindacato il giorno prima si era mostrato attento alle richieste della cittadinanza: quello dei trasporti pubblici, che aveva garantito collegamenti gratuiti per i manifestanti provenienti da Gabes e dal sud del Paese.
Si è assistito quindi ad una mobilitazione generale, una parte delle istituzioni si stava dimostrando vicina alle istanze del popolo; finalmente i sindacati, ormai liberatisi dalle infiltrazioni degli rcdisti, stavano prendendo posizione attiva nel "processo di democratizzazione".
Insomma ieri tutto sembrava far presagire una manifestazione serena, una riappacificazione tra Popolo e Potere. Con questo spirito nel pomeriggio, verso le cinque, ci siamo diretti alla Casbah. L'accesso non era bloccato, come istintivamente prevedevamo, segno di apertura da parte degli Interni. Alla manifestazione erano presenti poche centinaia di persone, niente a che vedere con le folle oceaniche che avevano occupato la piazza durante Casbah 1 e 2. Quattro gatti e un paio di striscioni. Il "grosso" dei manifestanti stava ammassato sulle scalinate della moschea adiacente al municipio. Ad un certo punto un gruppo di loro si avvia verso le forze di polizia che presidiavano il cuore della piazza. Uno prende la testa del piccolo corteo improvvisato e tende la mano ad un dirigente di polizia. Si scambiano il saluto e due baci sulla guancia. A quel punto ho avuto solo il tempo di girare la testa per commentare ad un'amica quanto fosse strana la scena che sono partiti i primi colpi di lacrimogeno. I furgoni della polizia hanno rombato a gran velocità nel tentativo di disperdere i manifestanti, i quali in parte entravano nella moschea mentre altri si dirigevano verso Bab Mnara. Seguendo questi ultimi ci siamo alontanati dagli scontri per rientrare nella medina, avendo giusto il tempo di incrociare un gruppo di ragazzi, in direzione contraria, che stringevano tra le mani sassi e molotov. Con gli occhi e la fronte che bruciavano ancora ci siamo ritrovati con altri amici di fronte la moschea della Zitouna per mettere insieme i racconti. A quanto pare alcuni agenti, spinti dal desiderio di accarezzare i manifestanti con i loro manganelli, sono entrati fin nella moschea, violando un luogo sacro forse anche nel tentativo di provocare ulteriormente i militanti di En-Nahdha.
Successivamente non siamo riusciti ad entrare nella Casbah dato che la polizia, nel tentativo di proteggere la popolazione (testuali parole di un agente) non permetteva l'accesso alla piazza. Non sono quindi in grado fornire informazioni di prima mano su quanto sia accaduto in seguito, su cosa abbiano fatto i ragazzi armati di molotov e sassi né su cosa sia successo ai manifestanti rifugiatisi nella moschea.
Ma al di la di tutto questo il fatto più importante ed inquietante è stato la reazione spropositata delle forze di polizia, che hanno reagito ad un bacio, fosse anche stato provocatorio, con una scarica di lacrimogeni che non si era vista neanche nelle periferie durante gli scontri dei primi di maggio.
Quanto è accaduto mostra da un lato quanto sia ampio lo scollamento tra diversi settori della società, a partire dal sindacato di polizia, e gli apparati di governo, mentre dall'altro evidenzia come i metodi repressivi dell'epoca Ben Ali non siano affatto spariti ma facciano parte del patrimonio genetico degli uomini che hanno servito per anni il dittatore viola e che oggi continuano ad occupare le poltrone che contano. Se quindi Ben Ali è metaforicamente morto, il suo spirito è ancora vivo. Niente di strano quindi se il popolo chiede a gran voce le dimissioni del suo erede Beji Caid Essebsi ed un reale cambiamento nel Paese. Cambiamento che deve avvenire rapidamente dato che gli rcdisti, che fino a qualche tempo fa se ne stavano nascosti e silenziosi, oggi reclamano a gran voce una presenza nella nuova Tunisia ed agiscono attivamente e subdolamente infiltrandosi nelle manifestazioni e camuffandosi da barbuti, al solo scopo di gettare discredito su En-Nahdha (che non voglio assolutamente difendere, sia chiaro) ed esacerbare il conflitto tra laici e religiosi. Se il cambiamento non avverrà entro breve, il rischio che le conquiste della rivoluzione vadano perdute irrimediabilmente sarà davvero alto.
Per l'occasione il sindacato di polizia aveva invitato gli agenti a mantenere un comportamento decente, a non cedere alle violenze se non in seguito a provocazioni ed attacchi da parte dei manifestanti; in buona sostanza si chiedeva agli uomini delle forze di sicurezza di mostrarsi in quanto tutori dell'ordine e non in quanto braccio armato del potere, sarebbe stata un'ottima occasione per dimostrare alla cittadinanza come il Ministero degli Interni fosse realmente cambiato e come i metodi Ben Ali appartenessero solamente al passato.
Un altro sindacato il giorno prima si era mostrato attento alle richieste della cittadinanza: quello dei trasporti pubblici, che aveva garantito collegamenti gratuiti per i manifestanti provenienti da Gabes e dal sud del Paese.
Si è assistito quindi ad una mobilitazione generale, una parte delle istituzioni si stava dimostrando vicina alle istanze del popolo; finalmente i sindacati, ormai liberatisi dalle infiltrazioni degli rcdisti, stavano prendendo posizione attiva nel "processo di democratizzazione".
Insomma ieri tutto sembrava far presagire una manifestazione serena, una riappacificazione tra Popolo e Potere. Con questo spirito nel pomeriggio, verso le cinque, ci siamo diretti alla Casbah. L'accesso non era bloccato, come istintivamente prevedevamo, segno di apertura da parte degli Interni. Alla manifestazione erano presenti poche centinaia di persone, niente a che vedere con le folle oceaniche che avevano occupato la piazza durante Casbah 1 e 2. Quattro gatti e un paio di striscioni. Il "grosso" dei manifestanti stava ammassato sulle scalinate della moschea adiacente al municipio. Ad un certo punto un gruppo di loro si avvia verso le forze di polizia che presidiavano il cuore della piazza. Uno prende la testa del piccolo corteo improvvisato e tende la mano ad un dirigente di polizia. Si scambiano il saluto e due baci sulla guancia. A quel punto ho avuto solo il tempo di girare la testa per commentare ad un'amica quanto fosse strana la scena che sono partiti i primi colpi di lacrimogeno. I furgoni della polizia hanno rombato a gran velocità nel tentativo di disperdere i manifestanti, i quali in parte entravano nella moschea mentre altri si dirigevano verso Bab Mnara. Seguendo questi ultimi ci siamo alontanati dagli scontri per rientrare nella medina, avendo giusto il tempo di incrociare un gruppo di ragazzi, in direzione contraria, che stringevano tra le mani sassi e molotov. Con gli occhi e la fronte che bruciavano ancora ci siamo ritrovati con altri amici di fronte la moschea della Zitouna per mettere insieme i racconti. A quanto pare alcuni agenti, spinti dal desiderio di accarezzare i manifestanti con i loro manganelli, sono entrati fin nella moschea, violando un luogo sacro forse anche nel tentativo di provocare ulteriormente i militanti di En-Nahdha.
Successivamente non siamo riusciti ad entrare nella Casbah dato che la polizia, nel tentativo di proteggere la popolazione (testuali parole di un agente) non permetteva l'accesso alla piazza. Non sono quindi in grado fornire informazioni di prima mano su quanto sia accaduto in seguito, su cosa abbiano fatto i ragazzi armati di molotov e sassi né su cosa sia successo ai manifestanti rifugiatisi nella moschea.
Ma al di la di tutto questo il fatto più importante ed inquietante è stato la reazione spropositata delle forze di polizia, che hanno reagito ad un bacio, fosse anche stato provocatorio, con una scarica di lacrimogeni che non si era vista neanche nelle periferie durante gli scontri dei primi di maggio.
Quanto è accaduto mostra da un lato quanto sia ampio lo scollamento tra diversi settori della società, a partire dal sindacato di polizia, e gli apparati di governo, mentre dall'altro evidenzia come i metodi repressivi dell'epoca Ben Ali non siano affatto spariti ma facciano parte del patrimonio genetico degli uomini che hanno servito per anni il dittatore viola e che oggi continuano ad occupare le poltrone che contano. Se quindi Ben Ali è metaforicamente morto, il suo spirito è ancora vivo. Niente di strano quindi se il popolo chiede a gran voce le dimissioni del suo erede Beji Caid Essebsi ed un reale cambiamento nel Paese. Cambiamento che deve avvenire rapidamente dato che gli rcdisti, che fino a qualche tempo fa se ne stavano nascosti e silenziosi, oggi reclamano a gran voce una presenza nella nuova Tunisia ed agiscono attivamente e subdolamente infiltrandosi nelle manifestazioni e camuffandosi da barbuti, al solo scopo di gettare discredito su En-Nahdha (che non voglio assolutamente difendere, sia chiaro) ed esacerbare il conflitto tra laici e religiosi. Se il cambiamento non avverrà entro breve, il rischio che le conquiste della rivoluzione vadano perdute irrimediabilmente sarà davvero alto.
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Strade di Tunisi,
Tunisia
domenica 10 luglio 2011
Rijal fi shams
Con l'arrivo della bella stagione e dell'estivo sole cocente, compaiono un po' ovunque per le vie di Tunisi. No, non sono gli scarafaggi, ma gli enormi manifesti pubblicitari di una nota ditta di cosmetici.
Io, come gran parte di tutti noi, sono sempre stato abituato ad assistere, in questo periodo, ad un susseguirsi di réclame che ci invogliano a d avere una pelle dorata. E' spettacolo comune vedere in estate, sui nostri litorali, centinaia di esemplari delle specie homo sapiens spiaggiarsi e agonizzare sotto i raggi del sole per ore, con il solo scopo di poter sfoggiare al termine delle vacanze un corpo abbronzato. Questo perché un corpo abbronzato, oltre ad essere “indubbiamente” più affascinante, comunica agli altri membri della specie un messaggio chiaro: sono stato in vacanza e non ho fatto nulla se non rilassarmi. In questa equazione la variabile “tempo trascorso ad oziare” è direttamente proporzionale ai toni di colore acquisiti, per cui andremmo da un bianchiccio “ho lavorato come un mulo, non mi parlate delle vostre ferie” ad un più-che-mulatto “Professione girasole”.
Ma prima di perdermi in deliri poco pertinenti è meglio chi ritorni al punto di partenza.
Dicevo dei manifesti pubblicitari. Ebbene, è sufficiente attraversare il mare in direzione sud per scoprire come le stesse ditte che da noi promuovono l'immagine di corpi bronzei e ci propinano creme ed oli abbronzanti, qui vendano prodotti in grado di schiarire la pelle di almeno due toni.
Ma prima di perdermi in deliri poco pertinenti è meglio chi ritorni al punto di partenza.
Dicevo dei manifesti pubblicitari. Ebbene, è sufficiente attraversare il mare in direzione sud per scoprire come le stesse ditte che da noi promuovono l'immagine di corpi bronzei e ci propinano creme ed oli abbronzanti, qui vendano prodotti in grado di schiarire la pelle di almeno due toni.
Mentre noi cerchiamo di somigliare agli arabi, beninteso, solo per quanto riguarda il colorito estivo, le donne arabe si sforzano nel mantenersi bianche, a costo di indossare quanti lunghi che proteggono mani e braccia dai capricci di una pigmentazione volubile.
Sembrerebbe quindi che l'essere umano non sia mai soddisfatto della propria condizione e cerchi sempre di essere altro da sé.
E' forse per questo che mi trovo dall'altra parte del Mediterraneo, vittima dell'insoddisfazione e di una nemesi che mi costringe a bramare un contratto ed un permesso di soggiorno, lavoratore europeo sottopagato in Tunisia.
Ma felice e bianchiccio, con un cappello di paglia che mi protegge il volto dai raggi di un sole indifferente a i nostri crucci!
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Strade di Tunisi
mercoledì 15 giugno 2011
Riprendono le trasmissioni
E' passato più di un mese dall'ultimo post pubblicato. Mai era accaduto che le pagine di Canale di Sicilia restassero a digiuno così a lungo.
Possiamo dire che da quando sono tornato a Tunisi non ho praticamente scritto nulla. Eppure ero convinto che una volta arrivato avrei potuto attingere ad una quantità tale di informazioni da avere materiale utile per mesi e mesi. Ed invece...
Invece è successo che quanto più mi sforzavo di capire approfonditamente cause ed effetti della rivoluzione, meno riuscivo a comprendere (e questa dinamica è valida tutt'ora, quindi non aspettatevi analisi di alcun tipo). Più dati mettevo insieme, più persone contattavo, più punti di vista approcciavo e più il puzzle si faceva complesso, sfumato, indecifrabile.
La spallata definitiva alla mia autostima l'hanno data le orde di documentaristi che hanno affollato le vie della capitale, sostituendosi ai turisti. Gruppetti di due, tre o quattro persone che nell'arco di un paio di settimane, spesso anche meno, presi dalle fregole giornalistiche, hanno intervistato esponenti di partiti ed associazioni con lo scopo di confezionare frettolosi reportage per il pubblico europeo. Gente completamente digiuna di mondo arabo, che non conosce assolutamente la realtà tunisina (che è veramente, ma veramente complessa) giocava ad interpretare un momento storico complesso, come una rivoluzione, senza avere la minima idea di cosa stesse accadendo intorno a loro.
Di fronte a questa situazione mi chiedevo come fosse possibile che io, che modestamente ritengo di essere abbastanza integrato nei tessuti sociali tunisini (il plurale è d'obbligo), non riuscissi a scrivere una sola riga mentre degli alieni in pochi giorni fossero capaci di buttare giù addirittura un documentario.
La risposta poteva trovarsi nel fatto che forse non fossi così sveglio come pensassi, che in fin dei conti non ho la forma mentis di un giornalista, capace di comprendere e sintetizzare rapidamente gli eventi.
Mi ha consolato, invece, notare come anche i tunisini, tassisti e docenti universitari, intellettuali e baristi, artisti e fruttivendoli, non fossero in grado di capire cosa stesse accadendo al loro Paese. Mi sono sentito meno solo...
Una volta preso atto del fatto che o la rivoluzione è troppo complessa o io non sono all'altezza di comprenderla, ho preso la seguente decisione (e spero che gli amici di Islametro non me ne vogliano): da questo momento, e fino a data da definirsi, Canale di Sicilia non si occuperà della Tunisia post-rivoluzionaria con analisi serie e "accademiche" ma tuttalpiù con riflessioni leggere sulla vita quotidiana, e su come sia cambiata dalla fuga di Ben Ali.
Lettore avvisato, mezzo salvato!
Possiamo dire che da quando sono tornato a Tunisi non ho praticamente scritto nulla. Eppure ero convinto che una volta arrivato avrei potuto attingere ad una quantità tale di informazioni da avere materiale utile per mesi e mesi. Ed invece...
Invece è successo che quanto più mi sforzavo di capire approfonditamente cause ed effetti della rivoluzione, meno riuscivo a comprendere (e questa dinamica è valida tutt'ora, quindi non aspettatevi analisi di alcun tipo). Più dati mettevo insieme, più persone contattavo, più punti di vista approcciavo e più il puzzle si faceva complesso, sfumato, indecifrabile.
La spallata definitiva alla mia autostima l'hanno data le orde di documentaristi che hanno affollato le vie della capitale, sostituendosi ai turisti. Gruppetti di due, tre o quattro persone che nell'arco di un paio di settimane, spesso anche meno, presi dalle fregole giornalistiche, hanno intervistato esponenti di partiti ed associazioni con lo scopo di confezionare frettolosi reportage per il pubblico europeo. Gente completamente digiuna di mondo arabo, che non conosce assolutamente la realtà tunisina (che è veramente, ma veramente complessa) giocava ad interpretare un momento storico complesso, come una rivoluzione, senza avere la minima idea di cosa stesse accadendo intorno a loro.
Di fronte a questa situazione mi chiedevo come fosse possibile che io, che modestamente ritengo di essere abbastanza integrato nei tessuti sociali tunisini (il plurale è d'obbligo), non riuscissi a scrivere una sola riga mentre degli alieni in pochi giorni fossero capaci di buttare giù addirittura un documentario.
La risposta poteva trovarsi nel fatto che forse non fossi così sveglio come pensassi, che in fin dei conti non ho la forma mentis di un giornalista, capace di comprendere e sintetizzare rapidamente gli eventi.
Mi ha consolato, invece, notare come anche i tunisini, tassisti e docenti universitari, intellettuali e baristi, artisti e fruttivendoli, non fossero in grado di capire cosa stesse accadendo al loro Paese. Mi sono sentito meno solo...
Una volta preso atto del fatto che o la rivoluzione è troppo complessa o io non sono all'altezza di comprenderla, ho preso la seguente decisione (e spero che gli amici di Islametro non me ne vogliano): da questo momento, e fino a data da definirsi, Canale di Sicilia non si occuperà della Tunisia post-rivoluzionaria con analisi serie e "accademiche" ma tuttalpiù con riflessioni leggere sulla vita quotidiana, e su come sia cambiata dalla fuga di Ben Ali.
Lettore avvisato, mezzo salvato!
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Strade di Tunisi
lunedì 9 maggio 2011
Week-end con il morto
Tunisi in questi ultimi giorni è stata teatro di alcuni avvenimenti di difficile interpretazione ed è proprio per via di questa complessità che fin'ora mi sono astenuto dallo scrivere e commentare. Forse però è giunto il momento di buttare giù qualche considerazione e di fare il riassunto delle puntate precedenti.
L'ex ministro degli interni Farhat Rajhi, un magistrato che venne scelto dal governo provvisorio per via della sua estraneità ai giochi politici e da molti ritenuto un personaggio pulito, rilascia delle dichiarazioni "confidenziali" ad una coppia di giornalisti, stagisti presso una rivista on-line. Giovedì il video di queste confidenze fa la sua apparizione in rete. Il succo delle dichiarazioni di Rajhi, o meglio ciò che nelle ore successive accenderà l'ira dei tunisini, si può riassumere nei seguenti punti:
1- Gli uomini del Sahel e di Sousse vogliono mantenere il potere nelle loro mani.
2- Nel caso in cui Ennahdha (il partito di ispirazione religiosa) vincesse le elezioni l'esercito sarebbe pronto a fare un colpo di Stato.
L'indomani a Tunisi molti cittadini scendono per le strade dell'avenue Bourguiba manifestando contro gli inciuci resi pubblici da Rajhi. La polizia, presente in maniera massiccia sin dalle prime ore, scarica i suoi manganelli sui manifestanti e sui giornalisti, ferendo anche due inviati di al-Jazira e facendo irruzione nella sede del quotidiano La Presse, poco distante dal luogo della manifestazione. Negli scontri ci scappa anche un morto.
La repressione agita gli animi e nella notte, nei quartieri della periferia ovest di Hayy Tahrir e Hayy Ettadhamon e nella zona sud di Zahrouni, gruppi di giovani apparentemente disinteressati alla politica giocano per qualche ora a guardie e ladri con la polizia che cerca ora di accerchiarli, ora di disperderli con i lacrimogeni.
Sabato mattina lungo l'avenue ci sono gruppi di liceali che in maniera poco organizzata manifestano contro la polizia, le forze dell'ordine stanno al gioco e li caricano, stavolta senza troppa convinzione. Il tutto va avanti per un'oretta. Giusto il tempo di distrarre giornalisti e cittadinanza da quanto stava accadendo poco distante da lì, lungo avenue Mohammed V. Studenti e cittadini infatti manifestano contro il partito Ennahdha.
Dopo le batoste che il partito di Ghannouchi aveva preso nelle ultime settimane a Kelibia e Monastir, si temeva che lo stesso sarebbe accaduto a Tunisi; gli scontri di sabato hanno dato un inaspettata mano d'aiuto agli islamisti dal volto moderato. Se non fosse che Rajhi sia un peccatore lontano dal pensiero di Ghannouchi & Co. uno potrebbe anche pensare che questa strana pubblicazione di informazioni confidenziali, fatta da un ministro a due giornalisti stagisti presso una rivista sconosciuta, sia stata architettata col fine di distogliere l'attenzione generale dalla manifestazione anti Ennahdha...
Indipendentemente da queste considerazioni segnalo il fatto che per evitare saccheggi e disordini il governo ha offerto alla cittadinanza un week-end da trascorrere in casa, imponendo il coprifuoco su tutta Grand Tunis dalle nove di sera alle cinque del mattino, nelle notti di sabato e domenica.
Oggi si torna a scuola, vedremo cosa succederà...
1- Gli uomini del Sahel e di Sousse vogliono mantenere il potere nelle loro mani.
2- Nel caso in cui Ennahdha (il partito di ispirazione religiosa) vincesse le elezioni l'esercito sarebbe pronto a fare un colpo di Stato.
L'indomani a Tunisi molti cittadini scendono per le strade dell'avenue Bourguiba manifestando contro gli inciuci resi pubblici da Rajhi. La polizia, presente in maniera massiccia sin dalle prime ore, scarica i suoi manganelli sui manifestanti e sui giornalisti, ferendo anche due inviati di al-Jazira e facendo irruzione nella sede del quotidiano La Presse, poco distante dal luogo della manifestazione. Negli scontri ci scappa anche un morto.
La repressione agita gli animi e nella notte, nei quartieri della periferia ovest di Hayy Tahrir e Hayy Ettadhamon e nella zona sud di Zahrouni, gruppi di giovani apparentemente disinteressati alla politica giocano per qualche ora a guardie e ladri con la polizia che cerca ora di accerchiarli, ora di disperderli con i lacrimogeni.
Sabato mattina lungo l'avenue ci sono gruppi di liceali che in maniera poco organizzata manifestano contro la polizia, le forze dell'ordine stanno al gioco e li caricano, stavolta senza troppa convinzione. Il tutto va avanti per un'oretta. Giusto il tempo di distrarre giornalisti e cittadinanza da quanto stava accadendo poco distante da lì, lungo avenue Mohammed V. Studenti e cittadini infatti manifestano contro il partito Ennahdha.
Sono musulmano, sono tunisino, sono contro Ennahdha. Non accetteremo un secondo RCD. Manifestazione lungo Av. Mohammed V contro Ennahdha |
Dopo le batoste che il partito di Ghannouchi aveva preso nelle ultime settimane a Kelibia e Monastir, si temeva che lo stesso sarebbe accaduto a Tunisi; gli scontri di sabato hanno dato un inaspettata mano d'aiuto agli islamisti dal volto moderato. Se non fosse che Rajhi sia un peccatore lontano dal pensiero di Ghannouchi & Co. uno potrebbe anche pensare che questa strana pubblicazione di informazioni confidenziali, fatta da un ministro a due giornalisti stagisti presso una rivista sconosciuta, sia stata architettata col fine di distogliere l'attenzione generale dalla manifestazione anti Ennahdha...
Indipendentemente da queste considerazioni segnalo il fatto che per evitare saccheggi e disordini il governo ha offerto alla cittadinanza un week-end da trascorrere in casa, imponendo il coprifuoco su tutta Grand Tunis dalle nove di sera alle cinque del mattino, nelle notti di sabato e domenica.
Oggi si torna a scuola, vedremo cosa succederà...
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Strade di Tunisi
venerdì 15 aprile 2011
Addio Vittorio
Se chiudi gli occhi non è successo.
Domani ci sveglieremo, apriremo Guerrilla Radio e leggeremo i resoconti di altre notti e giorni di quotidiano terrore, affidando alla sua penna il compito di alleggerirci le coscienze.
Un infinito grazie a colui che benché fosse ogni giorno a contatto con l'orrore della bestialità umana si sforzava di ricordarci a tutti di restare umani, nonostante tutto.
Addio Vittorio, fà buon viaggio.
Domani ci sveglieremo, apriremo Guerrilla Radio e leggeremo i resoconti di altre notti e giorni di quotidiano terrore, affidando alla sua penna il compito di alleggerirci le coscienze.
Un infinito grazie a colui che benché fosse ogni giorno a contatto con l'orrore della bestialità umana si sforzava di ricordarci a tutti di restare umani, nonostante tutto.
Addio Vittorio, fà buon viaggio.
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